Il libro della Genersi si apre con la domanda che Dio fa all’uomo-Adamo: “dove sei?”. Il Vangelo di Giovanni con una domanda che gli inviati dei capi fanno a Giovanni: “tu chi sei?”. La prima affermazione, libera esclamazione, è sempre del Battista, ed è relativa a Te, e l’ascoltiamo oggi: “ecco l’agnello di Dio”.
È messianica: il profeta Isaia la riferisce al “Servo del Signore”. Ricorda l’Esodo e la liberazione dalla schiavitù. Per gli ebrei (e per noi oggi) è liturgica e ci dice della necessità di essere purificati per poter incontrare Dio. Nulla di strano allora che i suoi discepoli diventino Tuoi discepoli. Sei Tu però che prendi l’iniziativa, con un’altra delle grandi domande che rivolgi anche a ciascuno di noi: “che cosa cercate?”. Vorremmo avere pronta una risposta.
Che fosse insieme vera e più “intelligente” di quella dei due che sono ancora senza nome. Uno scopriremo che è Andrea, l’altro rimarrà misterioso: siamo autorizzati a immedesimarvici. La risposta/domanda ci sorprende: “Dove dimori? Dov’è la Tua casa, possiamo stare con Te?”. Ma non è quesito da poco. Equivale a chiedere: “da che parte stai? Sei venuto per rimanere?”. La Tua risposta è la più ovvia, vera e coinvolgente: “Venite e vedrete”.
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È contemporaneamente liberante, ributta la palla dalla nostra parte del campo ed è aperta al futuro. Ora siamo noi a decidere cosa faremo. Cosa fecero Andrea e il suo amico lo sappiamo: andarono, videro e rimasero. Il Vangelo ci tiene a circoscrivere temporalmente il tutto: erano circa le quattro del pomeriggio. Ci dice che stiamo parlando di un evento storico, temporalmente definito, puntuale. Ma ci dice anche che i due rimasero “quel giorno”.
L’impegno, ogni impegno, anche il più definitivo come il “sì” di due sposi nel giorno del matrimonio, funziona se rinnovato ogni giorno della nostra vita. Stare con Te non significa abdicare ad una esistenza propria e neanche alle relazioni personali. Andrea incontra suo fratello, Pietro, e lo conduce da Te. È interessantissimo: Pietro non è il primo chiamato in ordine temporale – e siamo in una cultura in cui la precedenza temporale è legge non scritta ma ferrea -.
Anche lui ha bisogno di essere condotto. Questo non vuole dire che non ha il carisma di condurre. Ma che non lo ha automaticamente. Non è un assegno in bianco. Sarà il primo ad entrare nel sepolcro vuoto, pur essendo preceduto dal discepolo amato senza nome più veloce nella corsa ma che lo aspetterà alla porta, e sarà colui che unisce i dodici.
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Ma Tu Gesù lo scegli liberamente, così come scegli chiunque voglia seguirti. E nessuno, a nessun livello di responsabilità, può dimenticarsi che abbiamo sempre bisogno di essere ricondotti a Te. C’è un ultimo gesto, che fonda l’antica usanza dei religiosi e dei papi di cambiare nome: Simone diventa Cefa/Pietro. Perché in quel momento rinasce. Nell’incontro con Te viene battezzato – ci avete mai fatto caso? I discepoli non lo erano -.
Apprezziamo che dal Concilio Vaticano II quasi tutti gli ordini abbiano smesso di cambiare il nome dei propri membri. E aspettiamo il momento in cui smetteranno anche i Papi. Non che ci dia fastidio. Solo perché più che del nome datoci nel battesimo, più che di quella dignità, non ne otterremo mai una più grande.
don Claudio Bolognesi