Ma sì, dai, la “Cruna dell’Ago” era una porta di Gerusalemme, la più piccola! Un cammello ci passava a stento. Però ci passava. Non sapete quante volte abbiamo litigato, quanto ci infastidisca questa affermazione. Quest’entusiasmo come se chi la propone abbia finalmente trovato la quadratura del cerchio.
Ma andiamo per gradi. Il Vangelo ci tiene a farci sapere che siamo in cammino. Il primo coprotagonista è “uno”, generico, potrebbe essere chiunque di noi. C’è un doppio atteggiamento di venerazione – non tira necessariamente in ballo la divinità -: si getta in ginocchio e Ti chiama “maestro”. Che è un titolo che Tu, Gesù, riconosci, ma che nel vangelo è profondamente ambiguo. Spesso chi lo usa fa malestri.
Tu prendi le distanze anche dal “buono”, rimandi a Dio. Questo uomo chiede come “ereditare” la vita eterna. È una bella domanda. La vita eterna è una cosa da figli. Di per sé si può solo ereditare. Non acquistare, né ricevere in regalo.
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Il percorso che Tu gli indichi non è nulla di nuovo, quasi a dire che a nessuno è mai stato precluso l’accesso a questa eredità. Non a caso i sei comandamenti della legge che tiri in ballo sono quelli che non richiedono un’esplicita adesione di fede. Ogni buon maestro in ogni tempo e in ogni luogo li ha, in qualche modo, ribaditi.
È realistica l’affermazione di quest’uomo, di averli osservati fin dalla giovinezza? Dipende da cosa significhi “osservare”. Tecnicamente il verbo descrive un atteggiamento di vigilanza che è quello del pastore, o della sentinella. Non prevede che la norma di cui si parla sia perfettamente adempiuta, cosa ovviamente impossibile.
I due verbi successivi sono commoventi: Tu lo guardi, concentrandoti su di lui. Lo ami – i dizionari traducono il verbo “agapao” come “innamorarsi in senso sociale e morale”-. E lo inviti a seguirti, come hai fatto con i discepoli. Con una differenza: quelli di cui il vangelo racconta la vocazione hanno lasciato tutto senza bisogno che fossi Tu a dirglielo. Questa volta va male. A lui che torna triste con il volto cupo. Probabilmente però più a Te, il fallimento è più Tuo.
Il problema è che quest’uomo cerca l’eredità della vita eterna. Non cerca Te. A questo punto troviamo il secondo passo, quello del cammello e della cruna dell’ago. Mettiamo pure che ci sia una porta di Gerusalemme con quel nome. Il senso rimane nel paradosso legato all’impossibilità di un ricco di entrare nel Regno.
Una consapevolezza che risulta evidente dalle parole dei discepoli: siamo tutti, tutti, in un modo o nell’altro, ricchi. Quindi esclusi dalla salvezza.
Ora c’è un secondo sguardo Tuo, identico a quello che hai rivolto all’uomo di prima. Poi la chiave di volta di tutto il brano: certo che è impossibile che i ricchi entrino nel Regno. Con le loro forze. Ci si entra solo perché lo rende possibile il Dio che compie meraviglie! Tutte queste Tue parole – attenzione! – sono al presente indicativo: le stai dicendo a noi, ora.
Il terzo passo: Pietro si assume il ruolo di colui che “inizia” a ricordarti la fatica che facciamo a seguirti. Vuole dire che continuerà a farlo. Ma anche l’esperienza del discepolato ci rende invece in qual certo modo ricchi. Della ricchezza più grande. Costituisce titolo valido per l’ingresso nella vita eterna solo se significa affidarsi a Te. Il Dio che ci salva.
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Terminiamo con un’ultima considerazione. Alcuni anni fa alcuni amici ci facevano notare di non aver mai realmente ascoltato le Tue parole sul “cento volte tanto, già ora”. Non possiamo essere cristiani dimenticandolo.
don Claudio Bolognesi