Questo breve brano è una raccolta di passaggi incomprensibili. Oggi non possiamo immaginare cosa sia la lebbra, la paura viscerale ad essa collegata e l’allontanamento sociale che ne consegue. Anche per quanto rigurda il testo gli studiosi si chiedono se al verbo che descrive la reazione di Gesù di compassione non sia preferibile quello di tanti manoscritti in cui si dice “mosso ad ira”.
Non capiamo perché, ma è coerente con il successivo “ammonendolo severamente” – che sarebbe più corretto tradurre “sbuffando indignato” -. E con il successivo “lo cacciò fuori”. Non basta: l’ormai ex lebbroso viene mandato dai sacerdoti perché certifichino la guarigione, secondo la legge di Mosè. Ma non risulta che ci vada. Gli si dice di tacere e questo sicuramente non lo fa. Fa bene o fa male?
Di fronte a questa trasgressione Gesù sarà impossibilitato ad entrare nelle città e dovrà rimanere in luoghi solitari. A cui la gente accorre da ogni parte e quindi tanto “solitari” non sono più. Abbiamo una serie di trasgressioni: il lebbroso non può avvicinarsi a nessuno. Gesù non può toccarlo. Il lebbroso deve andare dai sacerdoti. Deve tacere e di nuovo non lo fa. Nessuno sembra fare quello che dovrebbe. Abbiamo un’inversione nei ruoli: lui deve stare lontano dagli altri ma alla fine, quando sarà guarito, le sue parole faranno sì che sia Gesù quello che non può più stare in città.
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Ciò che ci appare chiaro è la netta proclamazione: Gesù vuole che il lebbroso sia purificato. Il Vangelo ci consegna l’immagine limpida della forza che c’è in Gesù, un bene che cancella il male. Contrariamente alla nostra esperienza che ci dice che il male corrompe il bene. L’isolamento poi generato dalla predicazione illegale dell’ex lebbroso viene cancellato dal bisogno che le folle hanno di lui e fanno sì che lo raggiungano “da ogni parte”, quasi un assedio.
Ho incontrato per la prima volta un lebbroso nel ‘95. Oggi la malattia è molto ridimensionata, ma in vari paesi del Sudest Asiatico, dell’Africa e del Sud America ci sono molti ospedali e soprattutto quartieri in cui abitano lebbrosi. Guariti ma con addosso ancora i segni del male. In quell’anno, andando alla Giornata dei Giovani a Manila, ci fermammo da amici missionari a Bombay. Una cara amica, medico, laica consacrata, missionaria per tanti anni in quella terra ci portò a conoscere l’ospedale in cui suor Bertilla, giunta fin lì da Bergamo, curava tanti bambini.
Ricordo chiaramente il momento in cui facemmo un cerchio prendendoci per mano per giocare con balli e bans da oratorio. Ricordo la fatica che feci a dare la mano a due bimbi lebbrosi, guariti, e lo scandalo che la cosa mi procurò verso me stesso. Fu però una sensazione ipocrita. C’è un sacco di gente sanissima a cui non siamo disposti a dare la mano, peggio che a un lebbroso. C’è ancora un sacco di lebbra spirituale tra noi. Gesù no, lui la mano è disposto a darla a tutti.
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Forse l’unica cosa veramente incomprensibile in questo brano è quel “se vuoi” iniziale. È ciò che può averlo fatto arrabbiare. Sentire messa in discussione la volontà di Dio che possiamo diventare quello per cui Lui ci ha creati. Vederlo scambiato per il Dio che fa rispettare le regole, sanitarie, civili, morali. Le sane tradizioni. Accorgersi che secondo noi questo Dio grande arbitro, sommo giudice, mette il suo codice al posto della misericordia.
Forse Gesù aveva torto nel non volere che il lebbroso sanato raccontasse di lui. Ma proprio quel raccontare la misericordia concreta che Dio ha avuto per noi è ciò che manca alla fede dei nostri giorni. A ciò che diciamo e a ciò che ascoltiamo. Quelle parole gli crearono problemi nella quotidianità. Ma la scoperta del volto misericordioso di un Dio che rimane capace di inquietarsi di fronte al male, di fronte alla nostra rassegnazione ad esso…
Di un Dio capace di sanare i suoi figli. Quella scoperta raccontata per la prima volta da colui che era stato tagliato fuori da tutto, ha cambiato le carte in tavola. Ha trasformato le coordinate della fede.
don Claudio Bolognesi