Pedere la realtà e rispondere con amore
«Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?» (Gv 9, 2). La domanda che i discepoli rivolgono a Gesù dà inizio al racconto della guarigione del nato cieco, che parla in modo speciale a tutti noi in questa Quaresima in quarantena. Tutti a volte siamo tentati di guardare le disgrazie come se fossero punizioni di Dio. E, tentazione ancora più subdola, a cercare in chi soffre un qualche sintomo di colpa, per soppesarlo, valutarlo e giudicarlo almeno interiormente. Più in generale, spesso cerchiamo un colpevole per quello che sta succedendo. Gesù si presenta come “luce del mondo” proprio per illuminare questo malinteso spirito critico che ci porta a sentenziare dividendo il mondo in colpevoli e innocenti.
Il Signore mostra la realtà così come è davvero, fuori dai preconcetti con cui spesso vediamo soltanto quello che vogliamo vedere. È come se il Vangelo stesse insegnando con due millenni di anticipo a uscire dalle cosiddette echo-chambers o bolle di persone che si ritrovano solo perché interpretano la realtà nello stesso modo. Bisogna andare al di là delle apparenze e del preconcetto mio o della maggioranza.
«È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi» (Gv 9, 39). Vengono in mente i versi di Montale, che parla degli «scorni di chi crede / che la realtà sia quello che si vede». Gesù supera i giudizi e i pregiudizi, per guardare davvero la realtà che ha di fronte. Vede la sofferenza del cieco, se ne prende cura e lo risana. E rimprovera ognuno di noi quando pretendiamo di capire e interpretare tutto a prima vista: «Siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane» (Gv 9, 41). Gesù non insegna mai a sistemare il mondo a base di etichette e di risposte chiare e distinte, con uno sguardo che crede di sapere già chi sono i cattivi e dove sbagliano.
La quarantena che stiamo vivendo in queste settimane di Quaresima ci sta facendo vedere cose di cui non ci accorgevamo, pur avendole sempre sotto gli occhi e a portata di mano. Persone care che potevamo salutare con gesti d’affetto adesso non fattibili; tempo dedicato a incontrarsi che ora non è proponibile; vita reale delle persone che abitano a casa nostra, che pensavamo di conoscere alla perfezione: ma quanto è impegnativo per mia figlia affrontare un’interrogazione? e per mia moglie o mio marito reggere lo stress di una riunione di lavoro? E quanto è silenziosa la casa di un genitore anziano che vive da solo? Tutte cose che avevamo anche prima sotto gli occhi, ma che solo adesso vediamo.
Perché è nato cieco l’uomo che Gesù incontra? «Perché in lui siano manifestate le opere di Dio» (Gv 9, 3). Ogni persona che ho intorno offre una possibilità di rispondere con la mia vita. Prima di tutto vedendola, cioè accorgendomi della sua esistenza e riconoscendola come una persona simile a me. E poi decidendo di prendermene cura con amore. Questa Quaresima in particolare può offrirci una grazia duratura: non cercare responsabili dei mali propri o altrui ma deciderci a metterci in gioco qui e adesso, superando l’indifferenza. Gesù propone ai suoi discepoli e a ognuno di noi di manifestare “le opere di Dio” con la propria vita e con la propria capacità di amare.
La poesia spesso parla meglio di tanti ragionamenti: «Considerando che l’amore non ha prezzo, lo pagherò offrendo tutto l’amore, tutto l’amore che ho», canta Jovanotti. «Avrei tanto desiderato che tutto ciò non fosse accaduto ai miei giorni!», dice Frodo in un memorabile dialogo de Il Signore degli Anelli. «Anch’io», gli risponde Gandalf, «come d’altronde tutti coloro che vivono questi avvenimenti. Ma non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato». La quarantena è un’occasione per vedere la realtà e deciderci a rispondere con amore, qui e ora.
A cura di don Carlo De Marchi