don Armando Matteo – Istruzioni per vivere, istruzioni per credere

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Istruzioni per vivere, istruzioni per credere.
Il profilo “missionario” della Parrocchia oggi

Incontro di don Armando Matteo del 20 Febbraio 2020 (Firenze)

Schema

Avvio. Quanto è difficile dire: oggi!

In Illo Tempore
Il grande messale spalancato
dondolava i nastri di seta
smeraldo porpora e bianco acquoso.

Intransitivamente assistevamo,
confessavamo, ricevevamo. I verbi
ci assumevano. Adoravamo.

E alzavamo gli occhi nostri ai sostantivi.
La pietra d’altare fu l’alba e l’ostensorio mezzogiorno,
la parola rubrica un tramonto iniettato di sangue.

Ora abito accanto ad una spiaggia famosa
dove i gabbiani gridano nelle ore piccole
come anime incredibili.

E persino il muro di cinta del lungomare
sul quale premo per sentirmi convinto
appena mi induce a prestargli fede

(Seamus Heaney).

  1. Il grande cambiamento: l’ingresso di un nuovo immaginario adulto

Mutazione profonda della generazione nata tra il 1946 e il 1964 (e successiva 1964-1980)

«La specificità di questa generazione è che i suoi membri, pur divenuti adulti o già anziani, padri o madri, conservano in se stessi, incorporato, il significante giovane. Giovani come sono stati loro, nessuno potrà più esserlo – questo pensano. E ciò li induce a non cedere nulla al tempo, al corpo che invecchia, a chi è arrivato dopo ed è lui, ora, il giovane» (F. Stoppa).

Viene meno la vocazione all’adultità, che è quella di “dimenticarsi di sé per prendersi cura degli altri”. Questo è il senso dell’essere adulto. Ed è in fondo il senso dell’umano. Noi siamo nati per essere adulti, generativi, traghettatori di vita. Questo è il senso dell’essere al mondo della nostra specie.

Giovinezza come senso

L’orizzonte di riferimento degli adulti attuali è quello di «essere il meno adulti possibile […] La giovinezza assume valore di modello per l’intera esistenza» (Marcel Gauchet).

Non si deve dimenticare che la nostra condizione di vita, al momento, è particolarmente felice (longevità, più tempo per noi stessi, benessere mediamente diffuso, tecnologie sempre più efficienti, aumento esponenziale delle fonti di informazione e di formazione, ecc.). E questo almeno in parte giustifica l’attuale “adorazione della giovinezza” (di cui parla papa Francesco nella Christus vivit, 182) da parte delle generazioni adulte.

Un tale mito del giovanilismo, tuttavia, ridefinisce il rapporto degli adulti:

  • con l’esperienza della vecchiaia
  • con l’esperienza della malattia
  • con l’esperienza della morte
  • con l’esperienza cristiana dell’esistenza (assenza di preghiera)
  • con l’esperienza del “figlio”
  1. Paralisi dell’educativo e rottura della trasmissione della fede

a) L’avvento di nuove istruzioni per vivere

«L’attuale rappresentazione e costruzione dell’infanzia vede il bambino come essere potenzialmente perfetto e precocemente competente, il bambino “sovrano”, il bambino “idolo” della famiglia affettiva» (Marina D’Amato).

La comparsa dell’adulto “diversamente giovane” dà vita ad un’inversione totale della struttura educativa. Da “Lì dove io (adulto) sono tu (giovane) sarai” a “Lì dove tu (giovane) sei io (adulto) sarò”; e alla ridefinizione dei soggetti coinvolti nel processo educativo. In breve: il modello (il genitore) diventa allievo del suo allievo (il figlio). E quest’ultimo assurge ad uno status di pienezza totale.

Più in generale avanzano nuove economie della psiche collettiva.

Le pratiche educative vengono pertanto ridotte alla logica della detraumatizzazione e della sterilizzazione dei luoghi abitati dai nostri cuccioli, impedendone il processo e il percorso di emancipazione.

b) Rottura della trasmissione della fede

«Nemmeno possiamo ignorare che, negli ultimi decenni, si è prodotta una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico. È innegabile che molti si sentono delusi e cessano di identificarsi con la tradizione cattolica, che aumentano i genitori che non battezzano i figli e non insegnano loro a pregare, e che c’è un certo esodo verso altre comunità di fede» (Evangelii gaudium, 70).

Il mito di giovanilismo, in una parola, come unico e ultimo comandamento religioso dell’attuale generazione adulta, che comporta una divergenza netta tra le istruzioni per vivere e quelle per credere. La teoria del catechismo non trova riscontro nella pratica della famiglia e degli adulti significativi con cui si viene a contato, crescendo. Mai dimenticare che gli occhi dei genitori sono il primo tabernacolo per ogni bambino.

Per i genitori, i figli rappresentano l’incarnazione del loro ideale di giovinezza: hanno natura quasi divina; hanno già tutto quello che può dare all’uomo la salvezza: sono giovani.

Il catechismo – come del resto la scuola – viene interpretato come occasione che i genitori sfruttano per permettere ad altri di contemplare il “messia” che proprio loro – i genitori – hanno dato al mondo.

  1. Profilo “missionario” della Parrocchia oggi

«Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata» (Papa Francesco)

  1. Avere coscienza che la questione della trasmissione della fede è un tema assai delicato.

L’esperienza della fede serve alla vita buona delle nuove generazioni, la presenza attiva delle nuove generazioni serve alla vita buona della Chiesa. Il problema è la mancanza di fede, dovuta ad una metamorfosi dell’umano profondissima, all’insegna di una profonda egolatria (papa Francesco). Oggi viene chiesto di più a chiunque partecipi alla vita della Chiesa: le nostre comunità non possono più restare semplici luoghi di “esercizio” e di “palestra” della fede, ma sono chiamate a trasformarsi in veri e propri luoghi in cui ci si possa incontrare con Gesù e ci si possa innamorare di lui. Quell’incontro oggi non accade, se non raramente, prima della frequentazione dell’iniziazione cristiana.

  1. Come aiutare i piccoli ad incontrarsi con Gesù? Due indicazioni di papa Francesco

a) Pastorale del riflesso

«Per questo bisogna che la Chiesa non sia troppo concentrata su sé stessa, ma che rifletta soprattutto Gesù Cristo» (Christus vivit, 39).

Quello che facciamo “riflette” o meno Gesù?

b) Pastorale del contagio (i cinesi non c’entrano!)

«All’inizio di questo momento di grazia per tutta la Chiesa, in sintonia con la Parola di Dio, chiediamo con insistenza al Paraclito che ci aiuti a fare memoria e a ravvivare le parole del Signore che facevano ardere il nostro cuore (cfr Lc 24,32). Ardore e passione evangelica che generano l’ardore e la passione per Gesù. Memoria che possa risvegliare e rinnovare in noi la capacità di sognare e sperare. Perché sappiamo che i nostri giovani saranno capaci di profezia e di visione nella misura in cui noi, ormai adulti o anziani, siamo capaci di sognare e così contagiare e condividere i sogni e le speranze che portiamo nel cuore (cfr Gl 3,1)» (Omelia per la Messa di inizio Sinodo, 3 ottobre 2018).

Siamo “presi”, siamo “afferrati” da Gesù?

  1. La testimonianza dei genitori resta fondamentale

Si tratta di avere chiari due obiettivi principali nella relazione con i genitori:

  1. Restituire loro il gusto, la bellezza la bontà della preghiera personale.
  2. Restituire loro la verità per la quale «I nostri figli senza la fede non saranno mai ricchi, con la fede non saranno mai poveri» (Beato Giuseppe Tovini).
  3. Annuncio del kerigma

È importante aiutare i bambini, sin dall’inizio della catechesi, a capire la differenza tra Gesù e Babbo Natale. Leggiamo con loro i vangeli, dall’inizio alla fine, ed introduciamoli alla preghiera personale.

5. Dire ai giovani la verità: trova una rosa e troverai te stesso.

La giovinezza è un cammino e ogni cammino ha un inizio ed una fine, che è anche un fine. Il fine della giovinezza è l’adultità, la capacità di mettere la propria vita a servizio di un bene più grande di noi. La felicità umana passa sempre dal rendere gli altri felici.

6. Una comunità che festeggia. «Andate in pace, la messa è finita».

«La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano» (Evangelii gaudium, 24).

Ogni volta che ci incontriamo come cristiani, dovremmo coltivare molto l’attenzione alla dimensione della festa, che è la dimensione del ritornare a ciò che alimenta la fiamma della nostra esistenza. Da qui un’ultima provocazione: andiamo in Chiesa perché siamo depressi o siamo depressi perché andiamo in Chiesa?