don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 9 Ottobre 2023

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Inizia ad amare

Forse non fatichiamo a rivestire i panni dello scriba del vangelo il quale, rivoltosi a Gesù, chiede: Fino a quando metterci in gioco? Con chi vale la pena farlo? Quando posso ritenere di non essere chiamato a farlo? Che cosa comporta giocarsi in una relazione fino in fondo? Come posso essere sicuro del perdurare della mia vita?

Lo scriba incarna un certo modo di stare nella vita: poiché fatica a riconoscere di non essere in grado di amare, vorrebbe porre limiti, stabilire condizioni, rivendicare precedenze. Tentazione ricorrente anche in questa nostra comunità.

Ciò che anima lo scriba è la preoccupazione di sapere che cosa l’altro rappresenti per lui: “e chi è il mio prossimo?” ovvero: il mondo a partire da me. Ciascuno di noi, nelle cose che impara come nei rapporti che crea, percepisce se stesso come un centro, a partire dal quale misurare il grado di appartenenza di persone, cose, situazioni che gli ruotano attorno. Pur sapendo che la realtà è più grande, tutto sommato il mondo vero è quello vero per me. È il grado di vicinanza a me che misura la disponibilità a giocarmi con chi o con ciò che mi interfaccia. Altrimenti l’altro non esiste o, se esiste, io non ho nulla da spartire con lui.

Ma Gesù fa comprendere che fintanto che si resta su questo tipo di prospettiva, non si fa altro che incarnare l’atteggiamento di chi “vede” ma “passa oltre”. Quante cose vediamo con analisi anche puntuale e, tuttavia, finiamo per scansarle. Qualcosa cambia quando ci si domanda: che cosa io posso essere per l’altro.

Un samaritano, invece… Uno cioè che misura la vita e valuta il mondo non a partire da sé, ma da ciò che gli sta dinanzi. Perciò vede, si ferma, si lascia coinvolgere. Uno che si offre agli eventi. È l’altro a questo punto a dettare la sua tabella di marcia. E l’altro resta sempre un appello per me che invoca interessamento, capacità di prendermi cura. Non è l’appartenenza allo stesso popolo o alla stessa cultura o alla stessa religione che misura la sua disponibilità ad intervenire. Sono le ferite a rendere lo straniero un familiare. E la nostra geografia culturale e spirituale va a farsi benedire: nel mondo si sta e si cresce nella misura in cui si conosce e si ama non a partire da se stessi ma dall’altro di fronte a me che può chiedere di entrare nella mia vita anche se non invitato a farlo. Tocca a me farmi prossimo. Ovvero: il mondo a partire dall’altro. E il cerchio chiuso del mio interesse va in frantumi e anche nell’anonimato della distanza l’altro comincia a delineare i tratti della sua identità.

Dall’essere prossimo al farsi prossimo: ecco l’itinerario proposto.

Che cosa può favorire questo passaggio? Il non distogliere lo sguardo da ciò che l’altro sta attraversando. A volte può accadere di condividere situazioni, percorsi, persino convivenze e non accorgersi di ciò che l’altro sta vivendo. Non si riesce ad andare oltre una lettura superficiale del reale e per questo si finisce per andare oltre. In questo modo si finisce per cristallizzare una situazione di solitudine che in nome del rispetto della privacy fa sì che nulla dell’uno diventi provocazione per l’altro. C’è un “egoismo miope” da cui tutti siamo in qualche modo affetti, concentrati come siamo sulla preoccupazione del ridurre la relazione con l’altro a un utile per me: cosa ne guadagno? cosa me ne viene? Questo, ahimé, anche dentro la comunità cristianal’utile il criterio, non il gratuito, lo sguardo del parroco, ad esempio, non il servizio per il Signore.

Ora questo tipo di egoismo non si supera per chissà quale soluzione magica ma mediante una vera e propria ascesi che riesce a superare la fase della spontaneità e si trasforma in vere e proprie scelte, in uno stile che smette di essere concentrato su stesso.

Questo egoismo, si supera ancora attraverso la deposizione di quel delirio di onnipotenza proprio di chi, nella pretesa di trovare soluzioni ai grandi mali del mondo, finisce col non riuscire a muovere neppure un dito. Se è vero che non posso fare tutto, è senz’altro vero che posso fare qualcosa. E ciò che è in mio potere fare sono chiamato a compierlo se non voglio rendermi complice di una situazione sempre più irreparabile.

Questo egoismo si supera, inoltre, non cancellando dalla memoria del cuore gli incontri fastidiosi che talvolta capitano lungo il nostro andare: imparare a stare a contatto con il disagio e con il limite e chiedendosi che cosa quegli incontri possano significare per la nostra storia.
Questo egoismo si vince se l’altro non è letto solo come un disturbo da scacciare o, tutt’al più, come fruitore di una mia eventuale elargizione ma se è riconosciuto e trattato come persona.

Questo egoismo si combatte quando affari o appuntamenti non vengono prima degli incontri che la vita ci riserva. L’incontro o l’agenda? L’analisi o il rimboccarsi le maniche? Solo la denuncia o lo scomodarsi?

Un samaritano, invece… Figura di uomini e donne che nel corso della storia hanno tempo per vedere e intervenire, per interessarsi e investire energie lungo le strade della vita. Figura di uomini e donne che hanno tempo per ascoltare cose, forse, già udite, per accompagnare chi non è più in grado di stare in piedi; figura, ancora, di uomini e donne capaci di incoraggiare offrendo di nuovo una possibilità di rinascita a chi ha già sbagliato mille volte. Il tempo è ritrovato nella misura in cui si accetta di perderlo. Sta qui il senso di quella parola di Gesù quando dice che chi perde la vita a causa di lui e del vangelo la ritroverà.

Allo scriba che aveva bisogno di tracciare una linea, Gesù gliela sposta fino ai confini del mondo e perciò la cancella.
In questi giorni mi piace immaginare Gesù che sposta le nostre linee di demarcazione tentati come siamo, talvolta, dal bisogno di circoscrivere chi è dentro e chi è fuori, chi è dei nostri e chi non lo è, chi è degno di attenzione e chi no. E allo scriba di allora e alla Chiesa di oggi consegna una strana figura con cui misurarsi per comprendere come, quando e dove si rivela Dio. Non dove è rivendicata una identità o una appartenenza ma dove vengono posti in atto i segni della cura: dentro e fuori la Chiesa.

Fortunati noi se ci lasciamo buttare all’aria la geografia del nostro piccolo mondo!
Maestro, che cosa devo fare? Inizia ad amare.

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