Un cristianesimo che discende
“Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo”. Con queste parole Gesù ci permette di scrutare il mistero di Dio e la sua relazione con noi: Dio come abisso d’amore che si vuole comunicare al mondo intero.
Nicodemo va a Gesù col desiderio di una vita pienamente felice ma è convinto che questa sia semplicemente il risultato di uno sforzo sovrumano. Gesù, invece gli rivela che questa vita è dono gratuito offerto a tutti mediante quel Figlio innalzato. Gesù è il Messia come Nicodemo pensa, ma non lo è come lui lo pensa: il Figlio dell’uomo innalzato ci guarisce dall’antico veleno della menzogna che ci ha allontanati da Dio, facendoci ritenere invidioso, antagonista e vendicativo colui che invece è sorgente di vita e di libertà.
E noi chiamati a guardare il Signore crocifisso per trovare in lui la nostra salvezza come già gli Israeliti avevano trovato salvezza in quel serpente cui volgevano lo sguardo. In questi giorni la croce è stata nuovamente rimessa al centro dalla liturgia pasquale. Rimessa al centro come il modello cui ispirarsi, come la vera legge della storia dell’uomo.
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È scritto nell’AT che “quando Mosè stava per costruire la tenda, Dio disse: guarda di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte”. In base a quali modelli noi abbiamo costruito la tenda delle nostre relazioni? Si direbbe su altri modelli se è vero che portiamo un po’ ovunque i segni dei morsi del serpente.
Oggi ci viene ridetto qual è il modello: questo Signore Crocifisso e l’amore che esso manifesta. Questo è ciò che ci fa cristiani e che fa cristiane le nostre chiese e le nostre istituzioni. Nient’altro. Non soltanto un battesimo ricevuto o una croce appesa alle pareti di una casa. Sarebbe facile, in tal modo, avere dei criteri di appartenenza.
La verifica, invece, è un’altra: se la mia vita, la mia comunità, la mia casa è costruita secondo il modello che ci è stato mostrato sul monte. E sul monte che cosa abbiamo contemplato? Che la salvezza non viene dai miracoli, dai segni che il sapiente Nicodemo cercava. Il miracolo vero è un Signore che nel suo morire continua a tenere le braccia allargate: un Dio che non fa un miracolo per sé e che rimane con le braccia aperte al Padre che sembra averlo abbandonato e al mondo che con ostinazione lo rifiuta.
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Se qualcosa vogliamo apprendere di Dio dobbiamo farlo ai piedi della croce, proprio come la madre e il discepolo amato. La croce narra un Dio che è disceso dal cielo, segno di un cristianesimo che discende, si immerge, si immedesima, compartecipa. Ogni altro modo di parlare di Dio che non si riconduca al suo discendere fin nell’abisso della morte non è autentico.
“La vita cristiana è tutta una esegesi della kenosi (abbassamento, svuotamento) di Cristo” (Isacco Siro). La vita cristiana, la mia vita dunque, narrazione di un Dio che si svuota. Consapevoli che la vita si guadagna donandola, si ottiene spendendola, si conquista affidandola.
Per gentile concessione di don Antonio Savone dal suo blog | CANALE YOUTUBE | TELEGRAM