Storia di benedizione
Celebriamo la nascita di Maria. A noi come quel giorno a Giuseppe viene ripetuto: Non temere di prendere con te Maria. Sappiamo cosa abbia significato per Giuseppe accogliere questo invito dell’angelo. Ma per noi cosa potrebbe significare?
Anzitutto imparare ad accogliere la disarmonia e la contraddizione. Ci saremmo aspettati chissà quale racconto del momento in cui la Madre del Signore ha visto la luce. E, invece, nulla di tutto questo. In quel lungo elenco di nomi che da Abramo giunge fino a Giuseppe, Maria quasi si perde. Tuttavia, proprio quell’elenco di nomi – i più dei quali tanto inadeguati alla generazione del Figlio di Dio secondo una lettura superficiale – ci restituisce un dato con cui questa festa ci chiede di misurarci: la trama delle nostre vicende a volte disarmoniche e contraddittorie, non rappresenta mai un impedimento definitivo al fatto che Dio porti a compimento il suo disegno di salvezza sull’umanità.
A questa consapevolezza non si giunge se non grazie alla fede che è proprio la capacità di tenere insieme la promessa di Dio e ciò con cui siamo confrontati umanamente ogni giorno. Si sarà chiesta certamente Maria come tenere insieme ciò che l’angelo le aveva annunciato di quel bambino: sarà grande, sarà chiamato Figlio dell’Altissimo… e, ad esempio, quella nascita fuori casa. Lui, il compimento delle attese d’Israele rifiutato proprio dal suo popolo. Quali contraddizioni! Eppure, il disegno di Dio sulla storia si compie sempre attraversamento l’umanamente inconciliabile.
Tutto è riletto come una tessera che via via compone quello che più sta a cuore a Dio: un’umanità riconciliata. E in tal senso ogni nascita rappresenta l’innesto nuovo che Dio compie nel tronco dell’umanità: una nuova possibilità offerta perché la vita superi resistenze e difficoltà. Davvero “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28). La nostra vita, per quanto povera e fragile, non è scandita dal caso e tantomeno lasciata in balìa del caos. Un’attenzione amorosa accompagna i passi del nostro vagare…
Come sarebbe bello poter proseguire quella genealogia fino a raggiungere noi! Tutti nomi, i nostri, che prendono luce da quel frutto maturo, che è il Dio con noi, il Dio mescolato con noi. Questa lunga genealogia che raggiunge me dice la fedeltà di Dio alla nostra terra, alla nostra umanità. Perciò non posso indulgere in atteggiamenti di disperazione. Se Dio è fedele alla mia terra, non posso disperare degli uomini e delle donne di oggi. Dio lega il miracolo della sua presenza alla ferialità dei miei giorni e alla successione dei nostri nomi.
Poi imparare a pensare la nostra vita come esperienza attraverso la quale il Signore Gesù possa avere diritto di soggiorno nella storia. Una normalità trasparente, quella di Maria. Nulla di eccezionale nei suoi giorni. Solo tanta disponibilità a fidarsi di una parola che veniva da altrove rispetto ai suoi piani e ai suoi progetti. Quasi una sorta di incoscienza la sua, eppure che cosa ha permesso di realizzare quel suo non complicarsi la vita con vuoti ragionamenti!
Prendere con sé Maria significa ancora non scandalizzarsi della propria e altrui piccolezza. Il vangelo non restituisce mai un tratto di vergogna per la misura della piccolezza quando questa si manifesta o sul piano della quantità o sul piano dell’efficienza. Che cos’era Maria e chi era Maria in ordine a ciò per cui ella veniva interpellata? Eppure è per quella strada che Dio si è aperto un varco nella storia dell’umanità.
Le nostre proiezioni ci hanno sempre spinto a pensare Dio come al di là della misura più grande. E invece Dio si mostra da sempre “convertito” al fascino della piccolezza. Addirittura si svuota.
“Nulla dell’Altissimo può essere conosciuto se non attraverso l’Infinitamente Piccolo, attraverso questo Dio ad altezza di bambino, questo Dio raso terra dei primi ruzzoloni…” (C. Bobin).
Non temere di prendere con te Maria.