Un giorno, ai farisei che commentavano negativamente il suo avere a che fare con pubblicani e prostitute, Gesù aveva ribattuto dicendo: Non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati. Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori. La sua presenza catalizzava non poco quanti portavano nel loro corpo e nel loro spirito i segni dell’infermità.
Il desiderio più grande era quello di riuscire a stabilire un contatto, anche fisico, con la sua persona. A qualcuno sarebbe bastato toccare anche solo il lembo del suo mantello… Non era superstizione, come forse saremmo portati a immaginare. Quando tocchi il fondo della disperazione gridi anche con i gesti il bisogno di riporre fiducia in qualcuno o in qualcosa. Ti basta anche toccare un pezzo di stoffa… E Gesù, infatti, leggerà in quei gesti disperati il linguaggio della fede che salva.
Ora, ci sono dei luoghi in cui sembra quasi ci sia un assembramento di dolore da cui volentieri rifuggiamo, soprattutto quando tocchi con mano la sofferenza innocente o il protrarsi di una malattia da cui sai che non sarà possibile venirne fuori guariti.
Sono situazioni che ti stringono il cuore perché misurano tutta la tua impotenza, situazioni da cui volentieri distogli lo sguardo e verso cui malvolentieri dirigi i tuoi passi.
Penso, così, al modo in cui faccio fronte a quelle circostanze in cui magari si assommano una o più situazioni di disagio con cui fatico a stare a contatto solo perché scombinano certi miei assetti: perché tutto a me? Cos’ho da spartire con tutto questo?
Non così per Gesù: egli non si sottrae. Si lascia interpellare da chiunque consegni a lui il suo malessere. La sofferenza, infatti, non cerca spiegazioni ma condivisioni. A salvarti, a volte, non sono le dissertazioni circa ciò che stai vivendo ma quanto sei disposto a prendere su di te della situazione dell’altro. Era quello che accadeva con Gesù: quanti nella vita non s’aspettavano più nulla hanno cominciato ad alzare il capo e a percepire che non c’era ragione di maledire la vita anche qualora non tutti venissero sanati fisicamente.
Mi chiedo come sia possibile che qualcuno oggi incroci lo sguardo di Gesù e possa ancora toccare il suo mantello o la sua persona. E mi sovviene che quando invia i discepoli li invia proprio a guarire gli infermi, compiere, cioè, tutto quanto ci è possibile per eliminare ciò che rende infelice l’esistenza. Non credo sia ardito pensare che sia io, ciascuno di noi, la frangia di mantello di Gesù che possono toccare tutti coloro che avremo modo di incontrare.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM