Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.
Gesù è venuto a rivelare a ognuno di noi chi siamo e che cosa valiamo. È venuto a rivelarci la nostra identità più profonda: quella di figli amati chiamati a diventare sempre più simili al proprio Padre a immagine di lui, il Figlio.
A chi invoca come pretesto “appartenenze” (in questo caso alla discendenza di Abramo), Gesù consegna il criterio per verificare un simile legame: compiere le opere di colui cui si riconosce una paternità sulla propria vita. Abramo, infatti, si lasciò provocare continuamente da Dio che lo incalzava verso nuovi traguardi: partì senza neppure sapere verso dove (il paese gli sarebbe stato indicato solo in seguito), partì accordando fiducia. Proprio ciò di cui sono incapaci gli interlocutori di Gesù.
La Parola di questo mercoledì della V settimana di Quaresima viene a metterci a parte di ciò a cui si può andare incontro quando la consapevolezza di una simile realtà accompagna e sostiene l’esistenza. I tre giovani del libro di Daniele non hanno paura di attestare dinanzi al re quale convinzione li abita anche a costo della morte, sia che Dio li liberi dalla fornace sia che non lo faccia.
Uomini e donne nel corso della storia si sono opposti, senza paura delle conseguenze, a chi voleva mettere a tacere la verità di cui la loro vita era testimonianza.
In una delle sue lettere, Etty Hillesum racconta come un giorno osservava centinaia di ebrei che salivano sui treni che li avrebbero portati ad Auschwitz. E mentre salivano stavano cantando dei salmi. Poi guardò i visi duri e immobili dei soldati e non poté non chiedersi: quale di questi due gruppi era libero, libero di essere se stesso?
Ancora, si racconta di Mandela che alla guardia che gli aveva detto: “Sai che ho il potere di farti uccidere?” aveva risposto: “Sai che ho il potere di andare verso la mia morte liberamente?”.
Che cos’è che genera in noi la possibilità di una simile testimonianza?
Ci viene incontro Gesù proprio nell’incipit del brano evangelico: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”.
Fedeli all’unica Parola che permanentemente non fa altro che attestarci il volto di Dio a favore dell’uomo: è qui che nasce la possibilità di un discepolato ed è questa l’unica condizione per continuare a rimanere in un cammino di sequela. Anche a prezzo della vita. Il dimorare nella Parola introduce alla progressiva esperienza della verità di un Dio amore e della verità dell’uomo quale figlio amato. Questo è ciò che conta. Davvero la tua grazia vale più della vita (Sal 62).
Ci si richiama alla memoria del passato sbandierando appartenenze (ad Abramo, a Mosè, ai padri). Ma è una memoria vuota.
Sei di Abramo? Ma Abramo com’era? Non certo arroccato.
Non è, forse, il pericolo anche del nostro mondo religioso dove ci sono i riti, le leggi, i codici, ma non c’è più la fede? Perché? Il verbo tipico della fede è uscire. “Il Signore disse ad Abramo: vattene dal tuo paese… verso un paese che io ti indicherò”.
Si è credenti, se si esce… anzitutto dai propri arroccamenti.
Ci si illude di essere credenti se tutto è a misura del nostro paese, del nostro mondo, del nostro sguardo, del nostro modo di pensare. La fede, invece, è lasciarsi mettere in cammino verso un Dio che non vedi, una terra che non si vede. Accetterai il viaggio solo se imparerai a non assolutizzare ciò che è soltanto di un momento.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM