Che cosa vengono a dirci queste due donne (Marta e Maria) del vangelo? Mi pare sollecitino in ciascuno di noi la necessità di passare dall’affanno di ciò che devo fare per il Signore allo stupore di ciò lui fa per me. Noi veniamo tutti da una cultura e da una educazione che ci ha consegnato il bagaglio delle cose da fare per poter finalmente raggiungere Dio. Siamo stati molto poco educati a riconoscere quello che Dio ha già fatto per noi. Non è un caso – mi pare – che quello splendido suggerimento consegnato dal sacerdote Eli al piccolo Samuele: “Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta”, noi lo abbiamo sovente trasformato in: “Ascolta, Signore, che il tuo servo ti parla”.
C’è un passaggio mai definitivamente concluso e ancora tutto da operare: il passaggio dalla religione alla fede, dall’uomo religioso al credente.
La religione è quell’insieme di forme culturali attraverso le quali una fede si incarna. In genere si tratta di atteggiamenti, di riti, di parole, di gesti, rivolti alla divinità per ottenerne benevolenza. La fede, invece, è relazione viva, personale, con qualcuno che si chiama Dio. E la fede – dirà l’apostolo Paolo – nasce dall’ascolto.
Da sempre Dio ha un meraviglioso progetto sull’umanità: quello di annullare ogni distanza che lo separa dall’uomo e introdurlo nella sua stessa comunione di vita. Un tale progetto rappresenta una minaccia per la religione, una minaccia ai propri privilegi: “Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui” (Gv 11,48). La religione vive sulla distanza che c’è tra Dio e l’uomo e una simile distanza giustifica il bisogno di rappresentanti, di gesti, di momenti e di luoghi speciali che permettano all’uomo di poter incontrare il suo Dio. L’uomo religioso, anche il più onesto, non riuscirà a comprendere questo progetto: “Come può… come è possibile”, domanda incredulo Nicodemo (Gv 3,4.9).
Dove sta l’errore di Marta?
E’ anzitutto un errore di prospettiva: Marta non capisce che l’arrivo di Gesù a casa sua significa, principalmente, la grande occasione da non perdere, e quindi la necessità di sacrificare ciò che è urgente (far da mangiare, in questo caso) a ciò che è importante (ascoltare Gesù).
Maria, di fronte a Cristo, si pone nell’atteggiamento di chi riceve, Marta, invece, imbocca decisamente la strada del dare. Maria dà il primato all’ascolto, lei si precipita a fare. E’ da notare che non è il fare ad essere condannato, ma un fare che non parte dall’ascolto attento della parola di Dio e che perciò rischia di diventare uno sterile girare a vuoto. C’è qualcosa di molto più importante del fare ed è il perché fare.
Marta, nonostante tutte le sue buone intenzioni, si limita ad accogliere Gesù in casa e lo lascia lì.
Maria lo accoglie “dentro”, si fa recipiente per lui, diventa come un tabernacolo. Gli offre ospitalità in quello spazio interiore che è stato predisposto da lui e che è riservato solo a lui.
Marta offre delle cose a Gesù (una gran quantità di cose!).
Maria offre se stessa.
Al dire di Gesù, Maria ha scelto subito “la parte migliore” , quella di cui c’è bisogno. E qual è? Non credo ci sia una risposta unica, valida per tutti. Credo, però, sia anzitutto necessario vivere la domanda prima di correre a cercare la risposta, perché già la domanda è Parola di Dio che ci interpella e ci rimette in cammino. Che cosa è essenziale? Essenziale è l’imparare a discernere tra il necessario e l’effimero, tra l’illusorio e il permanente, tra ciò che è eterno e ciò che è di un giorno. La parte migliore non è quella di chi moltiplica le cose, le attività, ma quella di chi si accorge della sua presenza.
Marta, che pure non vuole lasciar mancare nulla all’ospite di riguardo e perciò pretende di arrivare a tutto, alla fine lascia mancare l’unica cosa necessaria.
E’ il rischio che corrono le persone religiose quando Dio diventa troppo conosciuto, uno di casa. Ci si illude di sapere tutto, di conoscere i suoi gusti.
Marta, diventa così il modello di chi ha la presunzione di possedere Dio, gestirlo secondo i propri schemi.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM