don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 5 Aprile 2022

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Strano il rapporto tra aspettative umane e dono di Dio. Sempre impari l’offerta anche se generosa e puntuale. Era accaduto già per la manna, considerata un cibo tanto leggero di cui ben presto gli israeliti ebbero addirittura nausea. Accadde lo stesso per Gesù: i suoi interlocutori pretendono di sapere da dove egli venga.

Troppo dimesso per accampare titoli da equipararlo al Figlio di Dio. Accade a noi: imparare a nutrire le nostre relazioni in modo quotidiano e continuo, è un esercizio troppo impegnativo. Preferiremmo abbuffarci saltando il rispetto dei tempi necessari all’assimilazione e alla metabolizzazione. Per questo, finiamo per stancarci nauseati: dietro l’angolo il fascino di altri miraggi o la nostalgia di esperienza passate. Fatichiamo a stare a contatto con il qui e ora della vita che ci chiede di riconoscere il modo nuovo attraverso cui si sta prendendo cura di noi.

A salvarci, il passaggio da quella forma di violenza e di aggressione che è la mormorazione alla fiducia che è capace di nutrirsi di segni poveri ma nondimeno fecondi. Non è forse così all’interno di una relazione? Che cosa accadrebbe se questa dovesse fondarsi sempre su manifestazioni straordinarie e non sulla forza delle piccole cose?

Gli ebrei nel deserto, i farisei ancora, noi di nuovo, siamo chiamati alla cura dello sguardo che rischia di essere distolto dal reale come accade solo perché annoiato. Può accadere, infatti, e accade di ritrovarsi continuamente di fronte all’opera stessa di Dio e, tuttavia, non riconoscerla solo perché annoiati del modo troppo dimesso attraverso cui Egli si manifesta. Il cibo semplice della quotidianità finisce per stancare: eppure, quella è la via mediante la quale Dio ci nutre. Finché non impariamo a distogliere lo sguardo da noi stessi, non c’è nulla che possa alimentare a sufficienza la nostra vita, tutto è sempre inadeguato.

“Ma tu, chi sei?”. È la domanda che sorge spontanea sulle nostre labbra quando la delusione affiora nei nostri rapporti e la presenza dell’altro è più motivo di domande che di risposte. È la domanda che emerge quando la fatica dello stare di fronte all’altro si fa più esasperante. Tale domanda porta con sé il bisogno di una risposta che elimini la fatica, ma si tratta solo di un pensiero magico: l’impasse, infatti, non si supera con una risposta convincente da parte dell’altro ma con l’accettazione di un viaggio nelle profondità del nostro cuore dove riconoscere le radici della nostra delusione e del nostro disagio.

Paradossalmente, in questi casi, solo il peggio aiuta a ridimensionare la nostra pretesa e a stare a contatto con il reale nel modo giusto: per gli ebrei il peggio furono i serpenti, per i farisei la crocifissione del Figlio di Dio.


AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM