Un nuovo inizio
Quella sera, apparendo ai suoi, Gesù li rendeva responsabili di un annuncio che aveva dell’incredibile. Avrebbero dovuto testimoniare che “a tutti è dato un nuovo inizio”.
A chi di noi la storia non appare insensata e, a tratti, addirittura sconsiderata? Quante volte la nostra lettura del reale è una lettura senza sbocco, senza speranza, una lettura il cui unico criterio sembra il trionfo della stoltezza umana.
Eppure – ecco ciò di cui siamo stati costituiti testimoni – tra le pieghe della nostra piccola o grande storia c’è un altro criterio, quello immesso proprio dalla morte e risurrezione di Gesù. Dio ha dato a tutti la possibilità di ricominciare attraverso la vicenda di un uomo che ha accettato di entrare liberamente in una esperienza di morte. Quella vicenda attesta che la verità delle cose “non si misura sulle armi dei vincitori”, ma sulle opere degli uomini retti.
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Quella sera, mentre si rendeva presente in mezzo ai discepoli, Gesù mostrava loro che tutto ha un senso, tutto è grazia. La sua vicenda non significava il fallimento di tutto, ma il compimento di tutto: quella morte portava già il germe di un nuovo inizio possibile. Che cosa voleva significare che il Risorto portasse ancora i segni della passione? Che i segni inferti dal male non si cancellano ma si trasfigurano. Una violenza subita resta tale; un’amicizia tradita resta tale; un affronto resta tale. E, tuttavia, alla luce della risurrezione, siamo chiamati a rileggere il nostro bagaglio di male secondo un altro registro.
Chi di noi riconosce qualcuno dalle mani e dai piedi? Eppure Gesù chiede ai discepoli di riconoscerlo a partire da lì, da un male non ripagato ma riconosciuto e accolto.
Il nostro modo di pensare stenta a misurarsi con concetti come questo. Noi patiamo ogni esperienza di separazione, di lutto: vorremmo che alcune persone non ci lascino mai, che alcune esperienze non finiscano, che alcune realtà non conoscano il logorio del tempo. Potessimo, cristallizzeremmo ogni cosa contro l’eventualità di un loro superamento, convinti come siamo che la vita coincida con ciò che di essa già abbiamo appreso. Per questo ogni volta siamo impreparati a far fronte ai nuovi ostacoli che incalzano. Facciamo fatica ad accogliere ciò che accade come occasione attraverso la quale Dio ci assicura che “nulla rimane fuori dal suo disegno”.
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Per questo è necessario convertirsi, ovvero imparare a leggere la propria vicenda da un’altra prospettiva che non è la nostra ma quella di Dio.
Che cosa testimonia la nostra fede nel Signore Risorto? Non già il non essere confrontati con la fatica, la sofferenza, la morte, ma il riconoscere che tutto questo non è l’ultima parola sulla nostra vita.
Mai parola di rimprovero da parte di Gesù verso i discepoli, tranne una: contro l’ignoranza, contro il non aver capito ciò che si riferiva a lui e alla sua vicenda.
Presi com’erano dalla paura, i discepoli credevano di vedere un fantasma. Terribile è la paura delle proprie fantasie: essi avrebbero voluto far rientrare la persona di Gesù nel loro orizzonte di pensiero. Quante volte le nostre proiezioni fantastiche alterano la lettura del reale!
Di questo voi siete testimoni: è un invito all’intelligenza, quella che riesce a leggere ogni realtà nel suo insieme e non soltanto nei suoi risvolti parziali. Aiutare ogni uomo a interpretare la propria esistenza alla luce della vicenda di Gesù: questo è il nostro compito.
Per gentile concessione di don Antonio Savone dal suo blog | CANALE YOUTUBE | TELEGRAM