Una lettura superficiale di questo brano evangelico rischia di coglierlo come una sorta di galateo relazionale. E, invece, è uno di quei brani che solleva la questione su Dio. È di Dio, infatti, che sta parlando, del suo stile, delle sue scelte, di ciò che gli sta a cuore.
Il Dio dell’ultimo posto: questo è il tratto più caratteristico del Dio svelatoci da Gesù. L’umiltà di Dio: così Francesco amava parlare del Signore. Il Dio il cui sguardo è sempre uno sguardo dal basso, ai piedi della crescita di ogni uomo, da Zaccheo a Giuda.
Il Dio che ha svelato la sua predilezione non per chi finalmente potesse contraccambiare il suo amore ma per chi nella vita non poteva vantare prerogativa alcuna se non quella della sua umanità. Il Dio il cui ambito relazionale è costituito di piccoli, poveri, deboli, malati.
Quello che noi celebriamo è il mistero di un Dio che si colloca all’ultimo posto, un Dio che si fa ultimo, che entra nella storia dell’umanità nel silenzio di Nazaret e nella povertà del Maestro di Galilea, che si china sui poveri e sui deboli, che rivela l’infinita misericordia del Padre.
A lui sta a cuore l’ultimo posto, dove si colloca per scelta non per condizione: non considerò un tesoro geloso la sua condizione divina ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo. Per scelta, dunque.
Chi più grande dell’Altissimo? Ebbene, proprio lui, per scelta, non per strategia, sceglie di farsi ultimo.
Davvero noi non ci siamo accostati a fuoco ardente, a oscurità, tenebra e tempesta (cfr. lettera agli Ebrei), ma a un Dio capovolto: lui, il Signore e il Maestro, in mezzo a noi come colui che serve.
Sollevata la questione su Dio non può non sollevarsi quella della comunità cristiana.
Se così è Dio, la comunità cristiana è chiamata a fare suo lo stile di chi sta nella vita non lasciandosi attraversare da smanie di protagonismo o di esibizionismo. Lo stile di chi non giunge mai ad usare il religioso come esperienza per perpetuare il perenne bisogno di riconoscimento o di presenzialismo. Lo stile di chi, umilmente, riconosce qual è il suo posto e accetta di starvi senza pretese, lieto solo di essere stato chiamato a partecipare dello stile stesso di Dio in quel tempo e in quel luogo dove la vita ci ha collocati.
Se così è Dio, la comunità cristiana è chiamata a partecipare di una beatitudine che va aggiunta a quelle più note: la beatitudine di poter vivere nella gratuità rompendo la logica mortifera del contraccambio. Di lì a poco, nell’ultima cena, in quel gesto che segnerà la sua offerta più libera e più piena, Gesù siederà a mensa con degli invitati per nulla capaci di riconoscenza e affidabilità. Proprio in quel contesto istituirà il sacramento del dono gratuito di sé a gente che né lo merita né saprà dimostrarsi in grado di ricambiare il dono partecipato.
Beato, dunque, perché essi non hanno la possibilità di ricambiarti. Solo gesti senza ritorno sono quelli che rendono felice l’esistenza umana.
Beato! Perché la ricompensa al dono non è il contraccambio, ma la felicità dell’altro e la vita che risorge attorno a te.
Una comunità, dunque, che partecipa della stessa geografia del cuore di Dio: nella geografia del cuore di Dio non ci sono anzitutto amici, fratelli, parenti o ricchi vicini ma poveri, storpi, zoppi e ciechi.
Dio ci consegna un vangelo da Dio, che ci porta quasi in uno stile folle che nessun sistema sociale può contenere.
Quando tu inviti amici, fratelli, parenti e vicini il cerchio della vita si chiude nell’eterna illusione del pareggio tra dare e avere: e perciò non c’è futuro, perché la storia si chiude. Rompi questo cerchio mortifero, allarga l’orizzonte, spalanca il cuore e sarai beato perché la gioia più grande è quella che da te defluisce e che tu riattingi, moltiplicata, dal volto dell’altro. Sarai beato perché agisci come agisce Dio, perché vivere è dare.
È interessante quanto l’esegesi moderna ha messo in luce. L’espressione di Gesù sarebbe priva di quel “sarai contraccambiato nella risurrezione dei giusti”. Si agisce per il bene altrui non in una logica di mercantilismo teologico – del tipo, se non ci fosse Dio meglio farsi i fatti propri – ma così, per pura gratuità.
Se così è Dio…
I puntini sospensivi sono d’obbligo. Tutto è ancora da declinare, ciascuno per la sua parte.
AUTORE: don Antonio Savone
FONTE
SITO WEB
CANALE YOUTUBE
PAGINA FACEBOOK
TELEGRAM
INSTAGRAM
TWITTER – @anthodon