La vita di ognuno di noi è come una sorta di cammino. Siamo incamminati verso una meta che indica compimento, ragion d’essere. Tale compimento, proprio come per Gesù, non è un luogo ma un incontro, quello con il Padre. La decisione di salire a Gerusalemme presa da Gesù altro non è se non la scelta di incamminarsi più fermamente verso il Padre, attraverso la valle oscura di un’esperienza tenebrosa.
Proprio come accade in quella stagione che va sotto il nome di innamoramento, quando cioè avvertiamo attrazione per qualcuno o per qualcosa di fronte al quale si prova entusiasmo, voglia di coinvolgersi, di mettersi in gioco, lo stesso accade nel cammino della vita e della vita spirituale.
Quando il cuore è allettato da una passione è spontaneo ripetere con il tale del vangelo: “Ti seguirò dovunque tu vada”. Pietro stesso, ignaro di ciò che potessero significare le sue parole, non esiterà ad attestare: “Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte” (Lc 22,33). Gli inizi di ogni umana avventura sono sempre carichi di promesse: le difficoltà, se non sono ignorate o rimosse, sono senz’altro circoscritte, minimizzate. Si è convinti, infatti, che con un po’ di buona volontà e, magari, anche con l’aiuto del Signore, tutto possa scorrere senza intoppi. Ma non basta iniziare, è necessario anche dare continuità e rimanere.
Il passare del tempo, infatti, segna l’irruzione di esigenze a cui prima neppure si pensava. Cominciano a far capolino realtà pure legittime e ragionevoli in sé e che tuttavia nulla hanno da spartire con ciò che un giorno si era scelto di vivere. Così, il “seppellire il padre” o il congedarsi da quelli di casa” finiscono per dettare scelte e orientamenti. A mano a mano che ci si allontana dall’ardore iniziale, le opposizioni riscontrate bruciano come ferite aperte, proprio come doveva essere il rifiuto dei Samaritani per Giacomo e Giovanni.
Stando a quanto riportato dal vangelo, il cammino conosce non pochi ritardi e deviazioni. Le tentazioni da una parte, le pressioni dall’altra vorrebbero mettere in discussione la scelta di seguire Gesù nel suo cammino facendo apparire come inutile e senza senso tutto ciò che si sta portando avanti. Il percorso intrapreso sotto i migliori auspici, di fatto comincia a subire rallentamenti quando si tratta di fare i conti con il peso e la fatica della scelta. A questo punto emerge quello stato d’animo che tanto ci condiziona e determina: lo scoraggiamento, la delusione, il disincanto. Ad esso, non poche volte, si associa la tentazione di voltarsi indietro e di abbandonare la partita. Quand’anche non si dovesse abbandonare del tutto, è dietro l’angolo la prospettiva di un modus vivendi senza infamia e senza lode, abdicando a tutto ciò che un giorno mi ero lasciato alle spalle. È come se ci si convincesse che una vita degna di essere vissuta sia una vita libera da legami e condizionamenti esterni. Accade sovente, infatti, di ritenere che legarsi con qualcuno, legarsi troppo, legarsi troppo a lungo possa essere solo motivo di sofferenza. E, pertanto, l’unica soluzione sia il rivendicare la propria autonomia vista come l’anestetico di fronte a legami che rischiano di bloccarsi. Immediatamente tutto appare più leggero: è ovvio, progettando meno si finisce anche per soffrire di meno, ma è altrettanto vero che progettando meno, “si cammina meno, si cresce meno, si vive meno”. Il problema, in fondo, non è se legarsi o meno ma a chi legarsi. Ci sono dei padroni interni a noi che non sono meno dispotici e alienanti di quelli esterni a noi. Quante volte siamo schiavi di noi stessi, del nostro essere superficiali o narcisisti!
Se le cose stanno così, nella maggior parte dei casi in cui si finisce per vivere una sorta di aurea mediocritas, non c’è alcuna possibilità di scampo? Che cosa potrebbe far sì che anche noi “induriamo il volto” e accettiamo la sfida di andare fino in fondo? Qual è lo sprone che permette a un discepolo di andare avanti nonostante tutto?
Restare legati al Signore Gesù senza cedere alle intermittenze dell’umore o della casualità. Non smettere di tenere lo sguardo fisso su Gesù e comprendere che amare vuol dire legarsi, che vale la pena pagare anche un prezzo alto per gustare la vera libertà. Scegliere di seguire Gesù solo con Gesù. Credere contro ogni speranza, non cessare di affidarsi.
Tutto questo si declina secondo tre registri:
- l’abbandono di ogni sicurezza e la ferma fiducia in Dio; scegliere Gesù, infatti, significa condividere la precarietà del suo cammino; si tratta della libertà dalle cose. Poveri di cose imparando che una vera relazione non si realizza in un legame ad un posto ma ad un cammino.
- riconoscere a Dio il posto che gli compete imparando a relativizzare tutto ciò che nulla ha da spartire con lui; si tratta, in questo caso, della libertà dalle persone. Non condizionati da alcuno, imparando che non è possibile servire più padroni.
- guardare avanti senza nostalgie o rimpianti, restando fedeli agli impegni presi; si tratta, in questo caso, della libertà dal proprio io. Non vittime del proprio piccolo mondo. Il legame vero è un legame per sempre e non ha scadenze.
AUTORE: don Antonio Savone
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