La liturgia mette a tema due sentimenti che conosciamo molto bene: la paura e la fiducia.
La paura è non poche volte il nostro vestito perché l’abito delle nostre sicurezze è stato strappato in ogni sua parte. Non passa giorno che di quel poco che ancora ritenevamo certo e sicuro non ne venga giù un pezzo.
Siamo perduti… Ecco l’amara consapevolezza che sintetizza tutto il dramma del nostro vivere.
Stando a quanto raccontato dagli altri evangelisti, è Gesù stesso ad aver chiesto ai discepoli di passare all’altra riva. Ed è quello che continua a proporre a tutti noi, passare verso la riva di un diverso modo di guardare le cose. Quant’è difficile, però lasciare la sicurezza e la tranquillità della nostra sponda! Chi di noi non subisce il fascino della tranquillità? Perché rimettersi in cammino con il grave rischio di sentirsi spaesati, fuori luogo? E poi chi ci dice che passando all’altra riva troveremo qualcosa di meglio?! A queste e altre domande proviamo a rispondere, in genere, arroccandoci sulle nostre posizioni consolidate.
Passiamo all’altra riva, ripete Gesù alle nostre resistenze. L’importante è accettare la sfida del tragitto, della traversata con lui. Cosa può significare oggi, per noi, passare all’altra riva?
Non dimentichiamo che l’iniziativa di passare all’altra riva è presa venuta la sera, quando attraversare il lago non è certo esperienza agevole. I discepoli, e noi con loro, veniamo iniziati a prendere con noi un maestro così com’è, vale a dire non costruito a misura dei nostri desideri e delle nostre aspettative, ma stanco, rifiutato, lasciato solo persino dal Padre. Quel Gesù affaticato, contraddetto, in balia del sonno, ricorda ai suoi di allora e di oggi che al presente non è tolto il volto tragico dell’esistenza e della sequela, neanche se siamo certi che lui è sulla barca con noi.
In simili frangenti la paura cresce e ci ritroviamo come singoli e come comunità a gridare: Salvaci, Signore, siamo perduti. L’esperienza della paura ci convince una volta di più che sulla barca della nostra vita quel Signore non è mai salito. Addirittura, le condizioni in cui si svolge la nostra vicenda terrena a volte sembrano tali da dare la sensazione che questo Gesù ci abbia lanciati in un’avventura senza ritorno.
È contro questo tipo di lettura delle cose che il vangelo prende posizione: la mia è una vicenda sulla quale Dio è imbarcato sin dall’inizio. All’uomo che contesta a Dio il suo modo di essere presente nella storia, Dio risponde non giustificandosi ma invitandolo a guardare le cose da un’altra prospettiva. La sua presenza sebbene misteriosa non per questo è meno reale. Gli eventi e le domande che essi suscitano vanno affrontati non con lo spirito della rassegnazione e della sopportazione, ma con quello del discernimento. In tutto ciò che accade è come racchiusa una parola che va ascoltata e accolta.
Perché avete paura, gente di poca fede?
A noi che vorremmo contestare il modo enigmatico in cui vanno le cose del mondo, Dio contesta il nostro modo cieco di leggere la storia: là dove noi contestiamo il suo disinteresse per noi, egli contesta la nostra paura che ci tiene schiavi.
Il Dio che nel brano evangelico sgrida il vento e il mare è lì ad attestare che non ama le tempeste, non le ordina, neppure a fin di bene. Il Dio di Gesù è il Dio che ama la vita: non dorme il custode d’Israele. A lui importa, eccome, se moriamo. Gli importa talmente tanto della nostra vita che è morto per noi.
È a noi che egli consegna le due domande: perché siete così paurosi? Non avete ancora fede? Bisognerebbe prendere queste domande non come domande che hanno già una risposta. Perché sono così pauroso? Dobbiamo riconoscere che “noi abbiamo tonnellate di religione, ma non abbiamo un granello di fede”(P. Balducci). La paura è sempre legata alla difesa di sé. Non avete ancora fede?
AUTORE: don Antonio Savone
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