Il nostro itinerario di Avvento ci fa incrociare i passi di due ciechi che, non rassegnandosi alla loro condizione di cecità, non temono di rincorrere Gesù e di consegnargli il loro grido di aiuto. Bellissima immagine questa dell’inseguire Gesù, propria di chi sa che quella è un’occasione unica che potrebbe non ripetersi più! Essi, pur non vedendo, non permettono che quel limite diventi un ostacolo a raggiungerlo addirittura in casa. Una ricerca a tentoni, forse, ma quanto mai appassionata e vera! Molto verosimilmente l’uno aiuta l’altro nella ricerca: la piccola meta dell’uno diventa occasione di salvezza anche per l’altro. Impossibilitati come sono ad avere la percezione della distanza reale che li separa da Gesù, si affidano al grido che è lo strumento per essere presi in considerazione.
Pur impediti nel vedere, non avevano chiuso le orecchie: verosimilmente avranno sentito che i passi del Maestro avevano incrociato i loro. Per questo gridano. Continuamente il Signore sfiora la nostra esistenza: può accadere che anche i nostri occhi siano impediti nel riconoscerlo, come accadrà ad altri due che, pur camminando insieme a lui, non erano stati in grado di individuare chi Egli fosse.
La figura dei due ciechi sottolinea una dimensione importante, e non a caso è l’evangelista Matteo a sottolinearla, egli che è l’autore del vangelo ecclesiale: se la fede è un fatto personale non è mai un fatto privato. Il cammino verso Gesù lo si compie insieme, come comunità all’interno della quale l’uno sostiene i passi dell’altro. Quando questo percorso è condiviso, l’oscurità già si dirada e il cuore ne esce rinfrancato. Che cos’è una comunità cristiana se non l’esperienza di una fragilità condivisa e di una possibilità di salvezza condivisa? “Portate gli uni i pesi degli altri”, ripeterà Paolo.
Il percorso verso la luce inizia col riconoscere di aver bisogno di aiuto e con la disponibilità a saperlo chiedere insieme, sostenendosi nell’invocazione e incoraggiandosi nella ricerca senza mai concludere che non sarà possibile.
I due ciechi non avranno forse trovato ostacoli sul loro cammino? Non saranno inciampati, talvolta? Eppure, nulla ha potuto arrestare il loro cammino di sequela, nulla ha potuto mortificare il loro bisogno di fare esperienza della luce.
“Il Signore è mia luce e mia salvezza”, così ci fa pregare il Salmo responsoriale. “Credete che io possa fare questo?”, chiede Gesù ai due ciechi? È la domanda che ancora una volta egli rivolge a noi: credi davvero che attraverso di me potrai conoscere la luce e vedere ogni realtà secondo una nuova prospettiva? I due che lo avevano rincorso gridando, ne furono certi e riconobbero in lui il Signore: “Sì, Signore”. E accadde a loro secondo quanto la loro fede era stata in grado di sperare e di osare.
Accomunati nella supplica, i due si ritrovano insieme anche nel rendere testimonianza di quanto è stato loro concesso di ottenere. Immagine altamente evocativa quella di una comunità che dopo aver condiviso l’itinerario verso la fede, si ritrova unita nella testimonianza di ciò che il Signore le ha donato.
‘Credete che io possa fare questo?’. Mi fa pensare il fatto che i ciechi non chiedano la guarigione ma che qualcuno abbia attenzione per loro: ‘abbi pietà di noi’. È vero: è il sentirsi guardare con benevolenza e misericordia da qualcuno che permette uno sguardo nuovo su di sé e sulla vita, quand’anche fossimo ancora portatori di un impedimento fisico. La fede nasce là dove matura la consapevolezza che io sono prezioso agli occhi di Dio.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM