Da una riva all’altra: pagina di esodo quella odierna. Un esodo non tanto geografico quanto esistenziale, verso una diversa comprensione di sé, della vita, di Dio, che non patisca la misura angusta della lettura delle cose viste solo da un certo punto prospettico, quello dei risultati raggiunti (la fame di un popolo saziata, nel caso dei discepoli). Un esodo che a fatica accettiamo di compiere, presi come siamo dal voler cristallizzare quei momenti che magari ci hanno visto protagonisti/spettatori di eventi fuori dal comune. Era accaduto anche ai discepoli quella sera.
Già. Quella sera. E quel bivacco sull’erba. La fame di cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini, era stata saziata con cinque pani e due pesci. Proprio non avrebbero voluto avventurarsi in quella traversata i discepoli. Ne avevano a basta per fermarsi. E invece erano stati costretti – attesta il vangelo – perché approdassero all’altra riva. Perché mai lasciare quella dove si trovavano? Devono aver resistito non poco se Gesù aveva dovuto costringerli a salire sulla barca. Come la sento mia quella resistenza!
In fondo avrebbero voluto gustarsi ancora i postumi di quell’evento che sapeva di prodigioso e di unico: cinque pani e due pesci per la fame di un intero popolo. Quando mai? Era sicura quella riva. Il sogno di sempre: trovare un luogo in cui finalmente qualcuno dispensi dalla fatica di procurarsi di che vivere. Perché mai avventurarsi in una traversata durante la notte?
E invece Gesù li costrinse. Controvoglia messi in movimento, obbligati ad entrare in una esperienza di solitudine, a contatto con la loro fragilità e la debolezza della loro fede. Dodici ceste di pane avanzato non sono sufficienti a garantire la vita dei discepoli. Dio non è mai riducibile all’esperienza che pure di lui puoi aver fatto. E di certo non ti prende per la fame.
Eppure quella sera sembrava tutto risolto. Invece ci vuole altro: non di solo pane vive l’uomo. Ecco perché è tutta di nuovo da decifrare quella costrizione di Gesù. Lo deve fare ogni comunità cristiana e ogni discepolo chiamato a individuare la riva delle sue certezze per affidarsi a una parola che indica altri lidi, nuove mete. La verità ci sta davanti, non alle spalle. Questo ci spaventa, convinti come siamo che essa sia un bagaglio già bell’e confezionato che riceviamo dal passato. Altro è l’approdo. Altrove, non là dove possiamo registrare consensi o misurare facili adesioni maturate sull’onda di uno che ti dà mangiare. Ben altre devono essere le motivazioni. E a quell’approdo non si giunge se non attraverso una traversata, una pasqua, appunto: un essere misurati con la vita così com’è, persino con il vento contrario e con una barca sballottata qua e là dalle onde.
Signore, se sei tu, comanda… Se Dio è Dio, cosa non gli è consentito?
Se sei tu… Un’espressione che tradisce le nostre più profonde convinzioni. Siamo convinti, infatti che il luogo della fede coincida con quello della manifesta evidenza. Se tu ci sei non possono e non devono accadere certi eventi.
Se sei tu… ossia il desiderio di vivere comunque esenti e al riparo. Il bisogno umano di prove.
Se sei tu… E invece il luogo della fede è quando Pietro affonda e non potendo più stare a galla non usa nessun alcun condizionale (se sei tu…) ma si lascia andare a un grido: salvami. Quello è il momento in cui Pietro crede che davvero Gesù è il suo Signore. Crede che lui è presente quando l’acqua gli giunge alla gola. Luogo della fede la sottrazione di ogni sicurezza.
Non si è mai garantiti nell’esperienza di fede e non è mai del tutto eliminata la possibilità che riaffiori l’incredulità. Non lo è neanche Pietro che nondimeno è colui su cui si fonda la comunità cristiana, composta da deboli la cui unica forza viene dal sapersi aggrappati alla mano di colui che nella notte ripete: Ci sono, non temere.
AUTORE: don Antonio Savone
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