Vuoi guarire? È la domanda che consegna a ciascuno di noi il Signore Gesù. Tutti quanti noi viviamo a ridosso – proprio come il paralitico – di quel luogo che si chiama Betzaetà, che significa casa della misericordia. Quell’uomo abita in quella casa ma in realtà sembra escluso dalla possibilità che gli si usi misericordia.
In quella casa c’è un tipo di umanità che Gv racchiude in tre categorie: ciechi, storpi e paralitici. Queste tre categorie sono figura della condizione reale dell’uomo raggiunto da Gesù: a farla da padrone è la cecità, la mancanza di libertà di movimento e la paralisi.
Vuoi guarire? A tutta prima sembra una domanda scontata come chiedere ad un affamato se vuol mangiare. A ben riflettere, però, non è una domanda retorica. Non poche volte, infatti, il dolore, la solitudine, l’abbandono costringono ad una sorta di letargo da cui è difficile uscire. Sono tante le cose che ci bloccano e ci impediscono di riprendere a camminare: ansie, preoccupazioni, inquietudini. Quell’uomo aveva fatto della sua infermità un pretesto per non assumersi alcuna responsabilità: non a caso addebita ad altri la causa del protrarsi nel tempo di quella malattia. È la malattia a “farlo essere”: la pretesa di essere aiutato è più forte della volontà di guarire.
L’uomo del vangelo è un rassegnato, è scoraggiato, tanto è consapevole della sua impotenza. Nessuna preghiera sulla sua bocca, nessuna richiesta, nessuna invocazione. Forse neppure sa chi è quell’uomo che ha dinanzi. Gesù non si ferma di fronte a queste resistenze, bussa con insistenza perché gli si apra il cuore: vuoi guarire? Quell’uomo aveva bisogno di qualcuno che lo scuotesse dalla sua apatia e lo costringesse ad assumersi la libertà di uscire dal proprio vittimismo.
Io non ho nessuno… è un uomo solo. Non ha nessuno che lo aiuti a guadagnare la tanto sospirata guarigione. Nessun punto di riferimento. Eppure non abbandona quel portico: continua ad assistere all’incresparsi delle acque e a vedere altri più fortunati di lui. Tutto questo da ben trentotto anni. Abbandonato da tutti, credeva di essere abbandonato persino da Dio. Attorno a quell’acqua c’è gente sospesa ad una tradizione e imprigionata dalla competizione. Quante promesse vuote! Da quanti anni forse anch’io sono fermo ai bordi di una piscina in attesa che accada qualcosa!
Gesù conosce la sua condizione e perciò gli si fa prossimo, si accosta a lui chiedendogli: Vuoi guarire? O vuoi restare appeso ad una tradizione che ti fa sopravvivere ma ti mantiene nella tua paralisi? È l’unico caso in cui è Gesù ad andare a cercare un malato: di solito gli erano condotti. Si avvicina a chi pensava di essere definitivamente escluso dal cuore di Dio. Tanto sta a cuore a Dio che per lui Gesù metterà a repentaglio la sua stessa esistenza.
Il paralitico non tarda a rispondere che le sue attese sono deluse da tempo: quell’acqua che egli ha davanti a sé promette una guarigione che non arriva mai, almeno per lui. Quell’uomo dovrà comprendere che altra è l’acqua da cui lasciarsi lavare ed è a sua disposizione solo che lo voglia davvero.
Alzati… fidati di me che sono venuto a cercarti, abbandona tutto ciò che ti tiene intrappolato, fa’ un salto.
Prendi il tuo lettuccio… infrangi una legge di morte che condanna ad un rito e all’osservanza di una regola vuota.
Cammina… il tuo orizzonte sia la strada e non più questa piscina. Impara a conoscere la vita.
Non ti è lecito… Strano a dirsi: ad avere la meglio sembrano essere la paura e il legame con una tradizione. Nulla può dinanzi a coloro che per restare fedeli a una legge che non è più per la vita, scelgono una adesione formale a Dio piuttosto che lasciarci interpellare da ciò che di nuovo lo Spirito sta suscitando. I giudei, infatti, vedono nel gesto di Gesù la violazione del sabato non già la guarigione di un uomo. Li colpisce più quel lettuccio preso sotto il braccio che non il fatto che quell’uomo cammini. Non riescono ad ammettere che quell’uomo possa essere per loro occasione di guarigione: preferiscono rimanere nella loro paralisi.
Vuoi guarire? Questa domanda attesta un Dio alla porta della nostra vita mentre mendica che si abbia bisogno di lui. È lui, infatti, a prendere l’iniziativa. Anche se forse non necessitiamo della salute fisica, tutti abbiamo bisogno di una guarigione interiore. Ma non è scontato riconoscerlo e come il paralitico accampiamo mille obiezioni che sono ben racchiuse in un’unica: sono sempre l’ultimo arrivato. Gesù ripete: non importa. Non è questo che conta. Tu cosa vuoi?
Quella domanda è ripetuta a noi perché prendiamo coscienza della nostra strutturale impotenza ma anche del fatto che tutta la nostra capacità sta nel desiderio che abita il nostro cuore. Lui ha il potere di venirci incontro se noi accettiamo di non arretrare di fronte ai limiti che vengono dalle nostre personali condizioni di vita, limiti che spesso rinfacciamo e dietro i quali non poche volte ci nascondiamo.
Vuoi guarire? Ossia, sei disposto a prendere coscienza della tua reale condizione? Ciò che conta, ciò che può significare una possibile svolta è riconoscere di aver bisogno di Gesù Cristo. Se questo è vero non ci sono ostacoli che tengano: è possibile anche a noi rialzarci. Nessun limite è vincente sulle parole rivolte da Gesù. C’è un bisogno nel nostro cuore, c’è una mancanza che solo lui può colmare. E non c’è piscina che tenga. La domanda di Gesù ci invita, quindi, a non maledire il fatto di sentirci bisognosi o mancanti. Questa mancanza e questo bisogno che talvolta tornano imperiosi non possono essere soddisfatti con espedienti di fortuna. L’antidoto è solo il Signore Gesù.
Se ne andò… Quell’uomo guarito fisicamente è infermo dentro. Non riesce a rinascere pienamente. Messo alle strette dai Giudei si limita a fare il nome di Gesù e a proseguire per la sua strada. Gesù è perseguitato ma lui non accetta di seguirlo. Non aveva compreso l’importanza di assumersi delle responsabilità personali.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM