Vie diverse di sequela dell’unico Maestro. Solo la fantasia dello Spirito poteva mettere insieme persone così distanti l’una dall’altra.
Pietro chiamato sulle rive del lago alle prese con il suo mestiere di pescatore, Paolo dalle derive del suo integralismo religioso. Così diversi da conoscere l’uno nei confronti dell’altro lo scontro aperto ma anche l’ammirazione più sincera.
Pur partendo da condizioni di vita molto differenti entrambi sono accomunati dall’esperienza di un Dio che prima ancora di scioglierli dalle catene di una prigione li introduce in un cammino di progressiva liberazione dalla paura e dalle precomprensioni e pregiudizi che portavano con sé.
Due che hanno conosciuto la fatica della fede. Proprio come ogni uomo sulla terra. Difficile credere a un Messia contraddetto, nel caso di Pietro. Arduo, in quello di Paolo, continuare ad annunciare il Vangelo quando più nessuno ti resta accanto – neanche i tuoi fratelli nella fede – e i risultati sembrano smentire il senso della tua opera.
Pietro che pure è testimone entusiasta della fede in Cristo a Cesarea di Filippo – in condizioni non avverse, dunque – la rinnega nella notte della passione quando non riconoscerà più il suo Maestro.
Paolo che sulla via di Damasco accetta di essere disarcionato da quel Gesù che stava perseguitando, conoscerà presto l’emarginazione e il silenzio prima di essere riconosciuto come annunciatore instancabile del vangelo del regno. Gli sarà costata cara la fedeltà al suo Signore se, nel rileggere la sua vicenda, la collocherà proprio all’insegna dell’essere riuscito a conservare la fede. Quale forza evocativa racchiude il fatto di guardare alla propria esistenza non misurando i risultati raggiunti o i consensi ottenuti o i fallimenti registrati ma semplicemente affermando di essere rimasto credente!
A caro prezzo la loro fede non solo perché conosceranno entrambi l’esperienza del martirio ma perché continuamente sollecitati a misurarsi con la rivelazione di un Dio mai circoscrivibile nelle ordinarie categorie di approccio al reale. Prima che essere strappati a un contesto di vita Pietro e Paolo sono strappati alle loro fedi. Strappati alla loro tradizione religiosa. Pietro a fatica dovrà riconoscere di rendersi conto che Dio non fa preferenze di persone. Quanto gli sarà costato acconsentire al fatto che il regno di Dio potesse essere aperto anche a dei non ebrei! Di lì a poco, infatti, sotto le pressioni della comunità ritratterà anche quella che era una apertura entusiasta sulla larghezza del cuore di Dio. Sarà necessario l’intervento e la resistenza di Paolo perché Pietro possa ricredersi.
Il loro andare geografico per i territori allora conosciuti credo possa essere letto come simbolo di una itineranza alla quale avevano acconsentito anzitutto nel loro mondo interiore, là dove più forti sono le resistenze a misurarsi con l’inedito. Non si muove un passo fuori di noi se non si è disposti a compierlo anzitutto dentro di noi.
Mi pare di poter individuare proprio nell’acconsentire a modificare il loro immaginario su Dio il punto di forza su cui poi si è dispiegata, pur nella diversità dei percorsi, la loro vicenda. Continuamente rovesciati nelle loro categorie di approccio al reale da un Dio dalla logica capovolta e che su di loro vorrebbe costituire una comunità cristiana come luogo di criteri rovesciati: luogo in cui i primi sono gli ultimi, il potere è il servizio, il tradimento può dischiudere addirittura una rinnovata fedeltà.
Credo sia questa la sfida consegnata a noi comunità cristiana: la capacità di riconoscere nelle trame della nostra storia la rivelazione di un Dio capovolto alla quale acconsentire anche a costo di mettere in gioco un nostro sistema di pensiero.
Vite, poi, quelle di Pietro e Paolo attraversate dalla passione di rendere ragione della speranza che aveva acceso la loro esistenza e perciò spezzate come quelle del loro Maestro. Vicende, le loro, a cui bastava la consapevolezza di un Dio che rimane vicino anche se non risparmia la possibilità che l’annuncio possa essere contraddetto: il Signore, però, mi è stato vicino – attesta Paolo in 2Tm 4,17 – e mi ha dato forza perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio… Uomini abbandonati e sotto processo (processo che finirà male) e che, tuttavia, vedono compiersi il Regno di Dio. Capaci di contemplare l’opera di Dio anche quando le circostanze sono mediocri o addirittura avverse, senza mai abbandonarsi a rivalse.
Non gente che consegna soltanto una dottrina ma fratelli disposti ad essere segno con la loro vita della irrevocabile vicinanza di Dio ad ogni uomo. Così la comunità cristiana. Segno della prossimità di Dio. Anche in questo nostro tempo, anche all’uomo che sono io.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM