don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 28 Agosto 2021

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Fiducia, fedeltà e rischio

Dio si fida e perciò si affida, all’uomo, a questo uomo che sono io, secondo la mia capacità. E la prova della fiducia risiede proprio nello starsene lontano: partì… Dio si fida, non ha paura e perciò si sente ben rappresentato da quest’uomo che sono io. L’uomo – ha detto qualcuno – il rischio di Dio. Fidandosi Dio rischia. Fiducia nei confronti di quest’uomo che sono io perché possa essere non solo amministratore di doni ricevuti in vista di una restituzione ma partecipe della stessa gioia di colui che dona: entra nella gioia del tuo Signore.

Vangelo che ci rilegge, dunque. Rilegge il nostro modo di stare al mondo a contatto con la nostra vita e con quella di quanti ci sono affidati. Rilegge il nostro atteggiamento di fronte a quanto con generosità e premura il Signore è andato dispensando di domenica in domenica. Non unico il modo di rapportarsi al dono come non unico è il modo di rapportarsi al reale.

Si può stare al mondo più preoccupati di evitare il male che di operare il bene, tranquilli e – perché no? – magari anche compiaciuti solo perché non abbiamo fatto questo, abbiamo evitato quello (“castità custodite nell’aridità, celibati che rendono uomini complessati, matrimoni mortificati… affetti appiattiti dalla noia… rapporti condizionati dall’interesse”). Vita sì, ma nella recita.

Al mondo sì, ma secondo la logica dell’evitamento e della giustificazione.

Al mondo sì, ma a ribasso, possibilmente frequentando percorsi preferenziali.

Al mondo sì, ma solo secondo uno stile di conservazione che si alimenta della paura, quella che chiude inesorabilmente nel vecchio dove la vita coincide con quello che è stato, non con quello che già sta accadendo e che chiede di essere riconosciuto e accolto perché possa fruttificare.

Al mondo sì, ma rincorrendo isole private di consolazione e di rifugio: quante le forme di religiosità lette come un risveglio della fede e che invece non sono altro che un comodo ripiego per non assumersi le proprie responsabilità rispetto alla storia.

Al mondo sì, ma scavando buche entro le quali sotterrare quanto di prezioso abbiamo ricevuto, finendo così per esserne personalmente inghiottiti e perciò fingendo di vivere in superficie.

Al mondo sì, ma nell’accidia, in quell’atteggiamento, cioè, che si oppone alla vita perché non genera, non semina, non opera, non mette a frutto nulla di sé.

Eppure la parabola di Mt parla di un credito di fiducia accordato in anticipo. Fiducia di Dio riversata su tutti perché alle mani di ognuno è affidato qualcosa di buono. I beni di quel padrone assente per lungo tempo sono affidati ad altri. Ben a diritto Gv potrà ripetere noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi (1Gv 4,16).

Gesù sta per andarsene e nulla trattiene di suo: tutto quanto ho ricevuto dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Noi veniamo al mondo per un credito di fiducia accordato in anticipo, ma rimaniamo a servizio della vita per il credito di fiducia che siamo in grado di suscitare e generare. Proprio della fiducia ricevuta è correre dei rischi. È la fiducia che fa aprire al nuovo avventurandosi su strade mai percorse finora.

Quel che più è strano è che quel padrone affida il proprio patrimonio a soggetti di cui non conosce neppure la managerialità. Un padrone interessato più che al frutto, alle potenzialità insite nei suoi servi ai quali si potrebbero applicare le parole dette da Gesù durante la Cena: non vi chiamo più servi, ma amici (Gv 15,15).

E invece talvolta ci sembra che il modo più riuscito per rispondere all’amore sia cristallizzare. Conservare non è il verbo dell’amore. L’amore non è realtà che si coniuga con l’intento di attendersi ricevute che attestino che non ci sono più pendenze tra noi.

Il dono restituito – ecco qui il tuo – indica la fine dell’amore, la cessazione di un rapporto. Restituire il dono equivale a riconoscere di essere stati al mondo, nella vita, in una relazione senza aver mai compreso quello che il padre di Lc 15 dice al figlio maggiore: “figlio, tutto ciò che è mio è tuo”.

Dio non gode della restituzione ma dell’inventiva e della creatività usate nel far circolare quanto mi è stato partecipato. Gioisce di una fede più preoccupata degli impulsi dello Spirito che non dei rischi umani da correre. Una fede non preoccupata del riconoscimento ma solo onorata per la fiducia di chi ha posto nelle sue mani un tesoro. L’antidoto a una vita al ribasso non è l’intraprendenza o l’operosità ma la fedeltà. Fedeli alla vita che solo per il fatto che mi è stata donata merita di essere vissuta fino in fondo. Fedeltà creativa che riconosce le opportunità e le porta a compimento, rischiando, forse sbagliando pure, e comunque vivendo. Luogo della fedeltà è il presente, il qui e ora, così come accade.

Ci sia dato, di fedeltà in fedeltà, di sentirci ripetere: entra nella gioia del tuo Signore.


AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM