Il rischio di una vita senza memoria e senza speranza: ecco da cosa ci mette in guardia la Parola di questo giorno.
Viviamo uno strano rapporto con il tempo: a volte ci accade di percepirlo come vuoto, addirittura interminabile. Sembra quasi che non accada nulla di rilevante e perciò è facile cedere all’inganno di mollare la tensione. Quando tutto sembra appiattirsi e ogni giorno trascorrere nell’irrilevanza degli eventi, si finisce per non attendere più nulla e più nessuno. Per questo l’invito a noi rivolto, in particolar modo dal vangelo, è quello di esercitare un’attenzione tenace per imparare a scorgere ciò che l’interminabilità del tempo e il torpore che ne consegue, rischia di offuscare.
È come se, mentre viviamo lo scorrere delle ore e dei giorni, dimenticassimo ciò che c’è prima e ciò che potrebbe esserci dopo: senza memoria, appunto, e senza speranza. Come se non avessimo mai avuto un inizio e non avremo mai una fine e la vita ridotta soltanto a quello che nel tuo presente riesci a stringere fra le mani. Cristallizzeremmo volentieri l’attimo. E quando qualcosa di inaspettato e di imprevisto fa capolino ci coglie sempre distratti, intenti ad altro.
Questo è ciò che il vangelo definisce come stoltezza: la vita avvolta nell’attimo e il tempo che passa apprezzato solo per ciò che concerne l’utile per me.
Sapienza, invece, è la capacità di vedere in profondità il significato vero degli eventi e delle persone; è la capacità di intuire il nuovo che nasce dallo scorrere quotidiano della storia.
Il dono della sapienza è partecipato solo a chi sta nella vita con atteggiamento vigile e lo vive non come una competenza acquisita una volta per tutte: per essa bisogna alzarsi di buon mattino e mettersi in ricerca. Ottiene il dono della sapienza chi è capace di passione per qualcosa, per qualcuno. Per che cosa ancora mi appassiono? O meglio: mi appassiono ancora? Si appassiona chi sa di non bastare a se stesso, chi è consapevole che la vita è oltre ciò che di essa può aver conosciuto o sperimentato, chi riconosce che la vita è fatta di incontri che altro non sono se non primizia e caparra dell’incontro definitivo con un Dio che viene a noi nei panni di uno sposo. Gli incontri, sacramento di Dio.
Tale dono non è neppure qualcosa di innato, ma di cercato e alimentato continuamente con l’olio della consapevolezza. Ha nulla a che spartire con la propria cultura: quanta sapienza in persone che nulla sanno di lettere e quanta insipienza in chi vanta titoli accademici o gradi onorifici!
Sapienza è saper cogliere l’oltre di ogni cosa, convinti che nulla è irrilevante nella nostra vita, nulla è insignificante, nulla è banale.
“La sapienza bisogna cercarla uscendo dagli schemi mentali preconfezionati, aprendo gli occhi davanti alla realtà che cambia, accostando le persone con fiducia senza dare nulla per scontato. E poi fermarsi a riflettere, a discernere e a rifarsi un nuovo ordine di ricerca tenendo conto dell’elemento appena acquisito. E, naturalmente, essere disposti a riprendere il cammino subito dopo”.
Imparare a scrutare nelle notti della vita perché non ci sono dati tempi supplementari. Ecco l’importanza del discernere e del saper scegliere.
Sapienza è capacità di saper fronteggiare il peggio nella consapevolezza che le cose potrebbero andare diversamente da come ci aspetteremmo.
Sapienza è avere la giusta misura di sé, riconoscere il proprio limite e metterlo in conto.
La differenza tra le cinque ragazze sagge e le cinque stolte sta proprio in un diverso modo di affrontare la propria debolezza: le prime, non ignorandola e non rimuovendola si industriano per trovare i rimedi necessari, le altre, invece, l’hanno fronteggiata con presunzione e perciò con superficialità.
Solo chi ama trova la sapienza “seduta alla sua porta” (Sap. 16,14)
AUTORE: don Antonio Savone
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