Diventare uomo nel progetto di Dio vuol dire diventare come Dio (Gv 10,34). Vocazione presto dimenticata sin dall’origine allorquando, il sospetto inoculato in noi dal satana, ci ha fatto leggere Dio come possessore geloso delle sue prerogative, innescando, così, un perverso meccanismo di furto, di fuga e di nascondimento. Lo ripeterà molto bene san Pietro: “La sua potenza divina ci ha donato tutto quello che è necessario per una vita vissuta santamente, grazie alla conoscenza di colui che ci ha chiamati con la sua potenza e gloria. Con questo egli ci ha donato i beni grandissimi e preziosi a noi promessi, affinché per loro mezzo diventiate partecipi della natura divina” (2Pt 1,3-4).
Ai suoi interlocutori convinti di riconoscere e adorare un Dio che tiene alla sua diversità esclusiva, Gesù consegna – senza imporla – la rivelazione di un Dio desideroso di condividere la sua stessa natura e che egli ha manifestato attraverso ciò che ha compiuto finora mentre ridonava speranza a chiunque l’avesse smarrita.
Se almeno credessimo alle opere… Ma, si sa, per chi ha inforcato delle lenti sbagliate, nulla può essere letto nella sua oggettività, tutto è interpretato secondo il proprio distorto modo di vedere, facendo coincidere il reale con la lettura che io riesco a dare di esso.
Quanti segni Dio continua a compiere lungo i percorsi della nostra esistenza! Oggi, a far problema non sono più le pietre della nostra avversione ma l’indifferenza a ogni segno e la sordità a ogni richiamo: l’indifferenza, infatti, prima ancora che perpetuare la passione del Figlio di Dio, ha finito per spegnere noi stessi. Sepolti vivi nella tomba della nostra insensibilità.
Quanto avremmo bisogno di riascoltare nel silenzio del nostro cuore l’accorato grido che il Signore rivolge al suo popolo e che riascolteremo nella liturgia del Venerdì Santo: “Popolo mio, che male ti ho fatto? In che ti ho provocato? Dammi risposta”! Proprio come un fidanzato tradito, Dio richiama gli innumerevoli segni del suo amore a cui, ahinoi, fa riscontro la rigidità e la freddezza del cuore di chi egli ama.
Non pensiamo di tirarci fuori da una simile esperienza come fosse cosa che non ci riguarda. Accade anche a noi di lapidare il vangelo che ci è stato consegnato e lo facciamo non con pietre materiali, forse, ma con quelle non meno violente del sospetto e della chiusura ostinata. Può accadere, molto più spesso di quanto immaginiamo, di avere una tale attrattiva per il peggio da confondere le molte opere buone che Dio compie, con il male che ci rode dentro.
Come Gesù, quando la tentazione di ripagare con la stessa moneta chi trama del male contro di noi diventa più ricorrente, abbiamo bisogno di imparare a prendere la giusta distanza e ritirarci “al di là del Giordano”. Lì Gesù aveva iniziato e lì aveva maturato la sua vocazione. Anche per noi c’è un “Giordano”, un luogo-memoria della nostra identità più vera, un luogo che rammenti le motivazioni per cui abbiamo scelto di impegnare la vita.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM