Come il Maestro
Proprio a ridosso del Natale, la Chiesa ci fa celebrare alcune feste di santi che in qualche modo attestano che cosa ha rappresentato per loro il fatto che Dio sia sceso sulla terra assumendo la nostra condizione umana.
A rileggere il vangelo, non univoca è la risposta di coloro ai quali viene recato l’annuncio del Natale. Ci sono quelli che rispondono alla provocazione dell’evento inaudito e vanno a vedere, rendersi conto, contemplare (i pastori); ci sono quelli che non abbandonano il proprio posto (scribi); e ci sono coloro che, come Erode ad esempio, si agitano, sono inquieti, si danno da fare perché avvertono quella Presenza come una minaccia.
Questo diverso atteggiamento è trasversale a ogni generazione, anche a quella di Stefano. Stefano ha nulla dell’eroe; ha, invece, tutti i tratti del discepolo, di colui che con il racconto della vita e della morte – non con quello di una definizione – narra cosa ha significato per lui l’avventura di aver incontrato Gesù Cristo.
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Stranissima costante: tanto Stefano quanto Gesù sono condannati e messi a morte da uomini religiosi. Nel momento in cui sta per morire Stefano manifesta come ha segnato la sua vita l’aver conosciuto Gesù: Contemplo i cieli aperti… Egli ha avuto la grazia di incontrare il Dio dei cieli aperti. Se tu squarciassi i cieli e scendessi… Così aveva sempre pregato Israele patendo sulla sua pelle l’esperienza di un cielo chiuso.
La vicenda di Stefano narra di uomini religiosi la cui tentazione perenne è quella di chiudere i cieli e rimpicciolirli secondo la loro angusta prospettiva. Tentazione da cui più volte erano stati messi in guardia dallo stesso Gesù: Guai a voi scribi e farisei ipocriti che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini perché così voi non vi entrate e non lasciate nemmeno entrare quelli che vogliono entrarci. Questi uomini – come testimonia il processo contro Stefano – finiscono per usare la legge, il tempio e le norme, pure sacrosante, come un assoluto che imprigiona e perciò mortifica.
Chi decreta la morte del discepolo Stefano ha finalmente rinchiuso Dio in uno schema religioso. Ma il Natale ci ha appena narrato che guai a volerlo rinchiudere in uno schema: ci priveremmo di riconoscerlo nella mangiatoia, non lo vedremmo presente in quel poco di pane che ancora una volta verrà donato a noi.
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I cieli si erano aperti sull’umile rifugio dei pastori e non nello spazio sacro di un tempio. Guai a volerlo rinchiudere in una tomba: non lo contempleremmo risorto alla destra di Dio.
Per Stefano Gesù è il vivente a cui può rivolgersi al presente: Signore Gesù, accogli il mio spirito.
La vicenda di Stefano è talmente impregnata della presenza di Gesù da esserne un vero e proprio calco: in vita e in morte ha fatto quello che ha compiuto il suo maestro.
Stefano, come Gesù, condannato come sovversivo della religione. Anche lui, come Gesù, trascinato a morire fuori della città. Anche lui, come Gesù sulla croce, capace di consegnare il suo spirito: Signore Gesù, accogli il mio spirito. Come Gesù sulla croce, capace di perdonare: Signore, non imputare loro questo peccato.
Se a noi non è chiesto di versare il sangue per Cristo ci è chiesto comunque di vivere, con convinzione e con gioia, secondo quanto egli ci ha chiesto.