Quando si considera il logorio cui è sottoposta la relazione coniugale, viene spontaneo domandarsi se valga davvero la pena o, di più, se sia ancora possibile impegnare la propria esistenza per un’altra persona per tutta la vita. Le relazioni, infatti, conoscono il dramma del tradimento e quello delle incomprensioni, la stanchezza dello stare insieme e il fascino esercitato da una nuova stagione di felicità intravista nel rapporto con un altro o con un’altra. Se così stanno le cose, perché privarsi di una nuova avventura che sembra essere motivo per una nuova ripartenza? Che senso ha restare fedeli alla scelta fatta e non intraprendere, invece, qualcosa che sembra più promettente?
Il problema risiede tutto nella prospettiva da cui si guarda alla relazione coniugale: nel progetto originario di Dio essa si declina come una consegna di sé capace di affrontare tutte le vicissitudini della vita, buone o avverse che siano. È proprio questa disponibilità a donarsi non per un tempo limitato ma per sempre a far sì che nessuna stagione segni il congelamento del rapporto ma occasione per un nuovo modo di amare. Se invece essa è vista come un contratto ad tempus, è ovvio che qualsiasi circostanza sarà motivo per rescindere il rapporto.
Cosa avrà significato per Gesù il momento del tradimento e dell’abbandono dei suoi, se non l’occasione per una modalità di amare non coniugata sul registro del riconoscimento e dell’accoglienza? Obiettivamente parlando, perché continuare ad amare chi di fatto se ne era andato sbattendo la porta? Tuttavia, durante la passione, l’umanità ribelle e ostinata non ha mai cessato di essere la sposa che Dio ha amato. Comprendiamo così le parole della Genesi, l’uomo non divida ciò che Dio ha unito: quand’anche l’uomo volesse divincolarsi dal rapporto con Dio, questo non impedirà mai al Padre di porre gesti e segni d’amore.
Il problema, ripete Gesù, è l’angustia del cuore umano di fronte alla quale anche Mosè ha dovuto cedere accontentandosi che fosse perseguito non più il progetto di Dio ma il minimo di cui un uomo può essere capace.
Quando le cose non funzionano in un rapporto, noi cerchiamo di stabilire chi ha ragione e chi ha torto, chi ha sbagliato e chi è responsabile, per Gesù, invece, alla radice di tutto c’è un cuore non più disposto ad accogliere e perdonare perché, di fatto, ha smesso di avere fiducia in Dio.
Stando a quello che annuncia Gesù, si tratta di scegliere se lasciarsi dilatare il cuore sulla misura del cuore di Dio o accettare il piccolo cabotaggio di ogni giorno in cui si accetta di non mettersi in gioco più di tanto o, soltanto, finché ne ricavo un vantaggio. Tuttavia, se non ci si lascia condurre da Dio e se non ci si riappropria di ciò che Dio aveva pensato per l’uomo e la donna agli inizi, è dietro l’angolo l’eventualità di un vagabondaggio affettivo mai sazio.
L’uomo e la donna degli inizi erano stati pensati come capaci di essere il segno della relazione d’amore che intercorre in seno alla Trinità Santa di Dio. Per questo il modello del rapporto coniugale resta il Figlio di Dio, perché ha scelto di amare senza misura tanto Dio quanto l’uomo. Al centro del suo stile di donazione non c’è mai stato il “che me ne viene?” ma il perdersi per l’altro letto come il vero investimento di una esistenza.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM