La natività di Giovanni Battista ci suggerisce una sorta di pellegrinaggio dello spirito nei luoghi della sua vita, così da cogliere la provocazione della sua figura ancor prima che della sua parola. Quella del Battista deve essere stata una scuola tutta singolare se persino Gesù, il Figlio di Dio, ha sentito il bisogno di frequentarla, con compagni di classe che non erano certi della Gerusalemme o della Nazaret bene: pubblicani e peccatori.
A quella scuola Gesù ha imparato la più grande lezione che egli incarnerà nel suo annuncio e nel suo operare: Dio sta con i peccatori. Dio non è mai neutrale. Dio si rende presente nelle case di chi è senza speranza: i genitori di Giovanni erano l’incarnazione dell’impossibilità umana a generare vita. È un Dio compromesso con la sorte dei poveri, con la sorte di chi giace nelle tenebre e nell’ombra della morte. Dio fa grazia agli umili. Perciò qualcosa può cambiare nella linea normale delle generazioni e proprio mentre tutto sembra avviarsi verso un destino di morte, qualcuno riesce a marcare un ribaltamento delle sorti dell’umanità.
Una scuola di periferia, ai margini, nel deserto: quasi postazione privilegiata per guardare con disincanto la vita e ciò che presiede al suo ordinamento. Dalla periferia si alza la voce profetica che grida al suo popolo che la strada intrapresa non può portarlo se non verso il baratro. Penso ai nostri luoghi di periferia (non solo geografici, ma perfieria del cuore, dello spirito)…
A questa scuola si impara dapprima che il nostro è il Dio dei diseredati: persino una sterile, puntata a vista per il suo grembo infecondo, può ancora generare vita perché Dio è capace di tirar fuori vita anche nei luoghi della impossibilità conclamata. Dio ha la meglio sulla sterilità e sul silenzio.
A questa scuola si apprende poi che luoghi di culto e fede non necessariamente vanno a braccetto: pur nella cornice solenne del tempio, mentre si celebra la divina liturgia – come era accaduto a suo padre Zaccaria – non scontata è la fede. Anche lì può abitare l’incredulità se Dio lo si riduce all’ovvio e al risaputo. Dio è sempre altro, sempre oltre, mai riducibile a quello che di lui posso aver finora conosciuto.
A questa scuola si apprende ancora che si resta muti – cioè incapaci di leggere e dare un nome al reale – quando non si è più in grado di riconoscere l’opera di Dio.
A questa scuola si apprende poi che Dio lo si trova non nel ripetere stanco di tradizioni e abitudini ma nel riconoscere il modo nuovo in cui egli si rende presente. Il nome che gli verrà imposto, infatti, non si colloca nella linea del perpetuare un passato ma nella capacità di leggere il presente, nel leggere l’adesso di Dio: Dio fa grazia. Anche se non è affatto chiaro ciò che il futuro riserverà: che sarà mai di questo bambino? E penso all’incapacità di dare nomi nuovi al rendersi presente di Dio qui e ora, rischiando di riesumare un passato che non è più, cristallizzando modi antichi come modi perenni.
Pur di famiglia sacerdotale Giovanni non si colloca nel filone del già stabilito ma in quello del deserto inteso come luogo di riconduzione all’essenziale del rapporto con Dio.
A questa scuola si apprende pure che c’è sempre chi, pur congratulandosi, tutto vorrebbe ridurre al codice del già visto: non c’è nessuno che si chiami con questo nome.
Alla scuola di Giovanni si apprende inoltre che ci si può salvare solo invertendo radicalmente rotta, creando un’interruzione del corso intrapreso.
Sempre alla scuola di Giovanni si conosce che siamo chiamati a indicare non il Gesù delle nostre aspettative, ma quello che si mostra nei segni poveri di una vita riannodata a cui ridare speranza.
Da Giovanni si apprende che pur nel marcio della storia, Dio suscita germogli di speranza e spiragli di luce che chiedono di essere portati a maturazione e splendore. Giovanni si colloca lì a servizio di chi non si rassegna ma intravede il sorgere di qualcosa di nuovo.
Dal Battista si impara a leggere la nostra storia come quella di uomini e donne “mandati da Dio”. Consapevole che la sua vita è una vita voluta da Dio, Giovanni non si lascia travolgere dalla gloria che pure potrebbe derivare dal vedere che tanti accorrono a lui. Persona capace di riconoscere i lineamenti reali della propria persona e del suo compito, non si lascia sedurre da una immagine sproporzionata di sé. La grandezza del Battista consiste nello scoprire la grandezza altrui, quella di Gesù, sapendola accogliere.
Alla scuola di Giovanni e della sua natività, si apprende l’attenzione alle premesse, la cura delle preparazioni. La via al Signore è stata preparata da un uomo che poi accetta di farsi da parte. Quanti eventi, intuizioni, domande si incaricano forse di preparare un incontro e non godono la giusta attenzione solo perché immediatamente non circoscrivibili in un preciso quadro di riferimento.
Come vorrei che facessimo nostre le parole di don Primo Mazzolari, il quale, a mo’ di preghiera, così afferma: “Non ci interessa la carriera, non ci interessa il denaro, non ci interessa il successo, né di noi, né delle nostre idee; non ci interessa né l’essere eroi, né l’essere traditori davanti agli uomini; ci interessa perderci per qualcosa o per qualcuno”.
AUTORE: don Antonio Savone
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