A rileggere un certo nostro modo di stare nella vita, da come viviamo i rapporti con le persone a come amministriamo le cose, verrebbe da concludere che questa sia l’unica e l’ultima dimora per ciascuno di noi, senza alcuno sbocco, come se tutto sia irrilevante (scegliere il bene o compiere il male sembra si equivalgano) e tutto abbia in sé la sua ragion d’essere, senza un prima e, soprattutto, senza un poi.
Dipendesse da noi, cristallizzeremmo non poche esperienze e realtà attraverso le quali ci sembra aver ottenuto una certa stabilità . Di nulla vorremmo veder la fine se non di ciò che può offuscare ciò che noi abbiamo realizzato o raggiunto. E invece no, ripete a noi Gesù.
Tutte le opere dell’uomo, quelle più benemerite come pure quelle più sacre, hanno una fine. Anche il tempio di Gerusalemme, così maestoso, splendido e solido, così fortemente significativo per la coscienza del popolo eletto, di lì a poco non avrebbe retto all’affronto della violenza romana. Finiscono persino gli affetti, i legami per cui tanto ci siamo dati da fare. Chi può strappare alla forza della morte un proprio caro?
Su che cosa, allora, pongo la mia fiducia? Che cosa dà consistenza ai miei giorni? Non poche volte abbiamo posto la nostra speranza su cose molto illusorie o abbiamo conferito diritto di assolutezza a qualcosa che era solo una parvenza e un’immagine di qualcos’altro. Le cose, le relazioni, gli affetti, i legami non possono assurgere a fine dei miei giorni: essi sono gli strumenti attraverso i quali preparo e attendo ciò che sta oltre questo mio vivere. Nasce qui l’invito a non idolatrare nulla e nessuno. C’è un’altra faccia delle cose che noi siamo chiamati a riconoscere e da cui siamo sollecitati a lasciarci ammaestrare.
A fronte di un tale discorso, forse attraversa anche noi quel prurito di curiosità circa il quando, proprio com’era accaduto agli interlocutori di Gesù. Ciò che importa, invece, non è il conoscere l’ora in cui le nostre cose possono finire ma il come stare prima che questo accada.
C’è qualcosa, infatti, che può reggere l’urto della fine: si tratta di tutto ciò che siamo riusciti a costruire restando fedeli alla Parola del vangelo. Solo essa conferisce il carattere antisismico all’opera delle nostre mani: solo essa getta semi di eternità nella nostra vita. Può crollare tutto ciò che abbiamo edificato (fa parte della storia di ogni generazione come di ogni persona), ma la preoccupazione dei discepoli, insegna Gesù, deve essere quella di non smarrire la fede e di vivere con fede persino i momenti in cui tutto sembra precipitare. Questo può accadere solo se ogni istante è riconosciuto come momento visitato da Dio. Non ha importanza, allora, conoscere un’ipotetica ora in cui si concluderà l’avventura umana o potrà terminare un’esperienza o qualcosa su cui avevamo investito. Quel momento, infatti, si gioca costantemente nel qui e ora di ogni persona. Ciò che conta non è la fine di ogni cosa ma il fine di ogni cosa, ciò per cui una cosa è stata perseguita o meno.
Dalle parole di Gesù si evince come non sia scontato custodire la fede. Essa, infatti, è sempre passata al vaglio della prova, subisce non poche incrostazioni ed è intaccata da molte tiepidezze. Viene per tutti il momento in cui il rapporto con Dio non è più mediato da garanzie visibili e non poggia su alcuna struttura esterna. Viene per tutti il momento della fede nuda in cui ciò che fino a qualche istante prima sembrava rassicurarci, svanisce nel nulla. Quanto la mia vita è capace di resistere in quel frangente? È la notte il luogo della fede, è il buio il momento in cui sono chiamato ad attestare su quale versante voglio giocare ancora le mie carte. Ma quel momento non si improvvisa: la mia capacità di resistere esprime e manifesta ciò che anche prima ha dato sapore alle mie giornate.
Vorremmo tanto conoscere l’esperienza di qualcosa di nuovo, di diverso senza dover attraversare la fatica e il travaglio. E, invece, questo non accade mai in modo indolore.
Vorremmo tanto che il Vangelo diventasse realtà senza conoscere l’affronto, la prova, l’ostilità , il rifiuto. E, invece, esso si realizza solo attraverso la capacità di restare fedeli.
Chi non accetta di dover passare personalmente attraverso il buio della notte oscura, non conoscerà la luce del giorno senza tramonto.
Come si fa ad affrontare il momento in cui tutto sembra sconfessare le nostre certezze? Con la consapevolezza che anche in quel frangente starà accanto a noi colui per il quale sono preziosi persino i capelli del nostro capo.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM