La fiducia del nostro Dio. Mi pare ci parli anzitutto di questo il brano evangelico di questo mercoledì. Ci parla di un vangelo consegnato a mani fragili come le nostre: Gesù continua a fidarsi di noi, pazientemente e quasi follemente, mettendo nelle nostre mani quanto ha ricevuto dal Padre, la sua parola, il suo perdono, il fuoco dell’amore, l’apertura di orizzonti di speranza.
Il vangelo consegnato a noi nella normalità della vita e nella trama delle proprie relazioni: passavano di villaggio in villaggio… La strada e la casa verso le quali il Signore vuole che muoviamo i nostri passi dicono i luoghi dove far correre il vangelo. Il vangelo non nella predica ma dentro le parole della strada, dentro le parole della casa. Entrate nelle case e ascoltate il cuore della gente. Entrate nelle case e osservate i volti. Come a ricordare che a far intravedere orizzonti nuovi non sarà un ragionamento ma la bellezza di un incontro in cui ti senti riconosciuto. Solo se si entra nelle case, si evitano le declamazioni. Quando se ne resta fuori, anche il vangelo diventa accademia, recita. Entrare nelle case vuol dire entrare nelle situazioni, venire a contatto con i problemi.
Che cosa siamo chiamati ad annunciare? Il regno di Dio. Non messaggi funesti, ma inviati a dire ad ogni uomo che Dio ci porta su ali d’aquila. I rabbini si chiedevano come mai fosse scritto che Dio ci porta su ali di aquila quando invece l’aquila porta i piccoli sotto le ali. E rispondevano: “Sopra le ali perché, se qualcuno tentasse di colpire con le frecce, raggiunta dalle frecce sarebbe lei e non l’aquilotto che porta sopra le ali”. Andare e narrare di un Dio che si lascia ferire lui e non noi. Non sarà forse così di lì a poco quando verranno a catturarlo? Prendete me, ma lasciate liberi costoro. Narratori della dismisura di Dio. Tutti chiamati ad essere segno di questo. E io? Che immagine di Dio racconto? Il regno di Dio ti si è fatto vicino. Dio ha annullato la distanza: racconta questo. Ma di nuovo, lo racconti con i tuoi gesti di vicinanza.
Ai dodici allora, a noi oggi, è consegnato un potere, l’unico che possiamo esercitare senza impossessarcene: il potere di farci prossimo. Questo dà inizio alla guarigione: se ti fai prossimo.
Gli inviati sono poveri: neanche un bastone su cui poggiare la propria stanchezza. L’unico strumento a disposizione è la consapevolezza che un giorno qualcuno si è avvicinato a me e mi ha fatto sentire tutta la tenerezza del Padre.
Nel vangelo di Mt lo stesso brano è preceduto da una annotazione non secondaria: vedendo le folle, sentì compassione. Ogni missione, ogni impegno parte da qui: dal guardare con infinita compassione l’umana debolezza.
L’invio dei discepoli nasce da un vedere. Mi domando se tanti nostri discorsi, discorsi di chiesa, nascano da un vedere o non nascano piuttosto a tavolino. Guardare la gente, guardarla negli occhi, guardarla in faccia, ogni giorno.
Credo sia questo cuore, questa tenerezza, questa commozione, che ancora oggi gli uomini e le donne del nostro tempo cercano nella comunità cristiana. Si cerca la commozione che era possibile leggere negli occhi di Gesù. Il vangelo sembra dirci che anzitutto è importante verificare come guardiamo, prima ancora di che cosa diciamo.
E lo sguardo di Cristo non conosce le nostre ristrettezze: guarda tutti, non soltanto quelli che gli sono immediatamente vicini o che gli appartengono. Guarda le folle e vi scorge i segni della stanchezza e dell’abbattimento.
Guai, allora, se il portare il vangelo fosse solo un fatto organizzativo, una questione di parole più o meno accattivanti. Guai se non si è abitati dalla tenerezza di questo sguardo di Gesù che coglie sui volti la stanchezza e nei cuori lo smarrimento.
Verrebbe da obiettare che a noi non appartiene il potere dei miracoli grandi. Di certo, però, ci appartiene quello dei gesti quotidiani: sollevando gli infermi con la nostra vicinanza, restituendo la speranza a coloro che si sentono morti e falliti, abbattendo ogni separazione con coloro che oggi vengono guardati come lebbrosi, cacciando i demoni, i fantasmi della psiche umana che soffocano la speranza di tanta gente. Ci appartengono i gesti mediante i quali siamo in grado di prenderci cura della vita. Il prenderci cura attesta che quand’anche un male possa essere inguaribile, nondimeno esso può essere lenito, condiviso, alleviato.
Dimostrerete così che il regno di Dio si è fatto vicino.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM