Due donne, Anna (la madre di Samuele) e Maria, in questa liturgia del 22 dicembre, prima ancora che delle parole, consegnano a noi uno stile, quello di chi impara a guardare la propria storia e quella dell’intera umanità come una storia di salvezza. Mentre ci insegnano a fare memoria di un Dio il cui sguardo si posa da sempre sul piccolo, sull’irrilevante, sull’umile, ci imprestano pure lo stile del riconoscimento e della gratitudine. Tutti abbiamo motivi per dire grazie; tutti, almeno una volta, abbiamo visto esaudita la nostra preghiera; tutti abbiamo toccato con mano che non è stato vano riporre la nostra fiducia nel Signore.
Aveva appena ricevuto il saluto di Elisabetta, Maria, che la riconosceva “madre del Signore”, e, tuttavia, pur consapevole della sua identità e della sua fede, non indulge in un atteggiamento di autoesaltazione ma tutto riporta all’autore di ogni cosa. Maria è consapevole della sua reale condizione, umile serva su cui qualcuno ha deciso di posare il suo sguardo. Maria ricorda a ciascuno qual è la nostra identità più vera: siamo solo una manciata di terra – humus – che Dio plasma e riplasma con amore fedele e sempre nuovo.
La storia, quella di ognuno di noi, e la storia dell’umanità intera, non sono in balia di un cieco destino; qualcuno la guida con braccio potente anche attraverso eventi che, a tutta prima, portano i caratteri di fragilità, di limite, di vulnerabilità.
È significativo che la Chiesa ci faccia chiudere le nostre giornate con il canto del Magnificat, come a raccogliere i frammenti del nostro tempo attorno al cantus firmus della fedeltà di Dio alle sue promesse. Abbiamo occhi capaci di vedere i timidi germogli che Dio continua a suscitare all’orizzonte della nostra esistenza solo se il nostro cuore non smette di fare memoria, una lunga memoria di ciò che Dio ha già compiuto: “Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre”.
Insieme al ringraziamento, Maria consegna a noi lo stile della restituzione. È interessante notare che i motivi per magnificare hanno come soggetto non ciò che ella ha compiuto ma ciò che il Signore stesso ha operato.
La restituzione non è il primo movimento che sgorga spontaneo nel cuore del credente. Essa fiorisce nel terreno della consapevolezza. Fiorisce solo là dove c’è riconoscimento di quanto ci è stato partecipato: L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,5). Per questo è possibile restituire solo ciò di cui si ha consapevolezza che lo si è ricevuto. Immeritatamente, peraltro.
Maria ha viva la consapevolezza che Dio le è venuto incontro e le ha dato innumerevoli opportunità che ella ritiene grazia e dono. Il Magnificat, infatti, è tutto un inno alla gratuità di Dio e al suo rivelarsi continuo nel corso della sua vita riletta come un dono divino. Un invito a fidarsi di Dio.
Dietro Maria un Padre a cui dare fiducia: per questo il Vangelo può essere assunto con l’atteggiamento di chi se ne riconosce servo. Per una fiducia ricevuta che Maria sente di ricambiare affidandosi.
“Io… ho ricevuto me stesso. Al principio della mia esistenza – intendendo il ‘principio’ non solo in senso temporale, bensì anche essenziale, quale radice e ragione di essa – non sta una decisione d’essere, presa da me stesso. Tantomeno semplicemente ci sono, senza che necessiti d’alcuna decisione d’essere. Tutto ciò è così soltanto in Dio. Bensì al principio della mia esistenza sta un’iniziativa, un qualcuno, che ha dato me a me stesso. In ogni caso sono stato dato, e dato come quest’individuo determinato” (Guardini, Accettare se stessi, 13).
A Guardini fa eco Von Balthasar: “… sono donato a me stesso. Non solo prestato temporaneamente… ma donato. Affidato a me… Nulla di ciò che sono e che mi viene continuamente donato mi è dovuto, né la vista della luce, né il sorriso di un altro uomo, né il poter amare situazioni, cose, amici ecc.; in tutto questo vi è un momento di dono, che esige e suscita spontaneo ringraziamento… Infine: l’atto che mi dà a me non è accaduto all’inizio per poi interrompersi e abbandonarmi a me stesso: esso continua ad accadere, accompagnandomi… Io vengo essenzialmente accompagnato dall’origine, che mi porta in modo tale che posso rivolgermi a lei in ogni momento. In questo ‘essere-portati’ vi è cura verso di me” (H.U. Von Balthasar, Pregare, 8-13).
Il canto di Maria chiede alla comunità cristiana di scegliere e dichiarare da che parte stare.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM