Perché ancora una volta iniziare un itinerario quaresimale? Cosa c’è dietro il gesto di piegare il capo e ricevere un pugno di cenere? Come ci arriviamo a questo appuntamento? Con quali sentimenti? Con quale stato d’animo?
Ognuno di noi, credo, si sia dato degli obiettivi per questo tempo che oggi inizia; qualcuno, forse, avrà preso anche qualche impegno di mortificazione corporale che oggi vuole significare attraverso il rito delle ceneri.
Tuttavia, a me pare che il gesto del venire, piegare il capo e ricevere la cenere, oltre che gesto penitenziale, sia anzitutto un gesto di grande speranza. E la speranza ha un fondamento: è possibile ricominciare. E non già perché finalmente abbiamo raggiunto chissà quale grado di maturità per cui senz’altro le cose andranno per il verso giusto. Semplicemente perché facciamo esperienza, oggi di nuovo, di un Dio animato da un unico desiderio, fare pace con l’uomo: Lasciatevi riconciliare con Dio, ci ha ripetuto Paolo. Dio ha ancora fiducia nell’uomo. La nostra speranza radica nella fiducia di Dio sempre rinnovata nei confronti dell’uomo. Ne è la prova la possibilità nuovamente offerta a noi di un tempo – come quello quaresimale – in cui riprendere contatto anzitutto con noi stessi.
Comprendiamo così che ricevere le ceneri ha senso se nel nostro cuore c’è ancora spazio per la speranza, quella di chi attende e prepara una stagione nuova, inedita, fondata non chissà su quali alchimie ma sulla promessa di Dio, cui ancora una volta accettiamo di dare credito.
Un gesto, quello delle ceneri, a cui vogliamo dare un senso nuovo: quello di assumerci l’impegno di non banalizzare il vangelo, accettando il sotto-stare, il sos-tenere. Restare sotto. Anche quando l’altro, il mondo, la storia non è assimilabile al mio modo di vedere le cose.
Ricevere le ceneri, dunque, come un entrare nella stessa passione di Dio, lasciarsi attraversare da ciò che più gli sta a cuore, l’uomo, il mondo, la storia. Dio solo sa quanto, di nuovo, ci sia bisogno di uomini e donne appassionati di questo. E di nient’altro.
Il restare sotto non è l’atteggiamento di chi vive rassegnato perché tanto non si può fare altro ma quello di chi sceglie di assumere ciò che a lui è stato affidato. Si banalizza il vangelo non quando facciamo anche noi esperienza del limite, della fragilità ma quando non crediamo più al dinamismo di cui esso è portatore, che è proprio il dinamismo dell’avere a cuore la sorte dell’altro più della mia. Proprio come il Signore Gesù.
Non è tra di noi chi non avverta la fatica dello stare in questi “giorni cattivi”, come qualcuno ama ripetere. La fatica dello stare nella vita, anzitutto, poi quella di stare nella relazione con Dio, quella, a volte, di stare in una scelta di vita, quale che sia la nostra, quella, inoltre, dello stare in una comunità cristiana che talvolta vediamo ripiegata su se stessa, quella, persino, dello stare a contatto con noi stessi. Sentiamo forte l’attrattiva di lidi altri, di terre sognate, di spazi sottratti a qualsiasi confronto, vere e proprie zone franche, terre di mezzo.
E, tuttavia, qui oggi a ricevere le ceneri… A scegliere, cioè, di accettare la fatica del farsi carico, partecipando della stessa misura di Dio, il quale sente in grande (makrothimya). Nessuno di noi è alle strette nel suo cuore. Anche qualora fossimo in disaccordo con lui.
Dio sente in grande perché non annulla il mondo distante da lui, non lo evita, non lo rifugge, ma lo sostiene assumendolo proprio nella sua lontananza e diversità. Il farsi carico è il volto concreto della speranza. Solo chi spera in un futuro altro anche per il mondo, per la Chiesa, per la storia può scegliere di non abbandonare ma di restarci sotto, facendosi carico del momento presente. Non come una condanna ma come segno del voler sperare per tutti gli uomini e le donne che abbiamo la grazia di incontrare sul nostro cammino.
Ecco perché quello delle ceneri non è un gesto privato. Avremmo potuto compierlo privatamente nel chiuso della nostra camera. E invece no. È un gesto personale, certo, ma di comunità, di assemblea. Perché nessuno può sperare solo per sé. Sperare, facendosi carico, significa esprimere che l’altro, il mondo, la storia, la chiesa mi stanno a cuore. I care, amava ripetere don Milani. Scegli di stare solo se l’altro ti ha trovato spazio nel tuo cuore.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM