Essere luce… accendere luci… Identità e compito della comunità cristiana.
La luce – si sa – riscalda, esalta particolari, mette in luce aspetti sconosciuti, dissipa zone d’ombra, restituisce sfumature che altrimenti non si riuscirebbero a cogliere. La luce permette di vedere la realtà, il mondo: è alla luce che si definiscono i contorni e i colori delle cose, è alla luce che si coglie la realtà nella sua bellezza. Compito della luce non è attirare l’attenzione su di sé ma far risaltare la realtà illuminata: infatti “non vediamo la sorgente luminosa, vediamo le cose che di essa si illuminano”.
Li aveva pensati così i suoi discepoli il Signore Gesù, uomini e donne non preoccupati di sé – la luce, infatti, non ha come scopo un suo immediato tornaconto: essa è intrinsecamente “estroversa”, fatta per altri – ma in grado di restituire gusto alla vita, capaci di apprezzare nel modo giusto ogni cosa, fedeli anche nelle vicende più buie. Nel vangelo di Mt Gesù non esiterà a dire che i suoi discepoli sono luce. Una identità da custodire con gelosa emozione. Non: abbiamo la luce… ma: siamo luce. E la luce non può non risplendere.
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Ora, la luce non splende anzitutto nell’eloquenza della parola ma rifulge nello splendore delle opere: vedano le vostre opere buone. Siamo luce se siamo in grado di rischiarare l’esistenza di qualcuno che è in ricerca; la nostra lampada risplende se nella notte del dubbio o nelle tenebre della tristezza sappiamo indicare una via d’uscita verso la luce. E così la tua esistenza diventa parola che Dio pronuncia in un linguaggio attraverso il quale è possibile cogliere i segni del suo passare.
Prendere coscienza di essere lampada che arde ci attesta che se il diventare credenti è un fatto personale, non è mai un fatto privato! La fede non è mai una faccenda privata. Non si esaurisce in una sorta di ben-essere personale. Non è l’antidoto ai momenti di fatica. Ricevere il battesimo non è finalizzato soltanto a salvarsi l’anima e neppure, primariamente, ad entrare a far parte della comunità cristiana, ma a dedicarsi al mondo così come ha fatto il Signore Gesù. “Essere battezzati è essere uomini dedicati agli uomini”.
Nel mondo quindi, ma non spenti. Come? La vita dei discepoli parla di una umanità che dall’incontro con il Signore viene trasformata, capace di gustare prima e di manifestare poi la bellezza del progetto che su di essa ha il suo Signore.
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Un’esistenza è luminosa quando la tua vita è nel segno della condivisione; la tua vita rischiara quella di altri quando la condizione dell’altro ti sta a cuore almeno quanto la tua, quando i tuoi rapporti sono vissuti nella pace e nulla diventa motivo di contesa; quando sei contento di quello che sei e il bene di cui l’altro è capace non diventa per te motivo di invidia. La luce passa attraverso il pane condiviso, mediante passi affrettati verso la casa dell’altro. La luce si diffonde grazie ad un cuore capace di ospitalità sincera. Non diventerà mai persona radiosa chi continuerà a fissare lo sguardo solo su se stesso. Ti illumini nella misura in cui rischiari altri. La nostra luce, infatti, vive di comunione, di incontri. Tua preoccupazione non è anzitutto di illuminare ma ardere, vivere acceso.
Luce vera è quella che accetta di passare attraverso la via oscura dell’umiltà e dell’amore disinteressato. Lo dirà san Giovanni: chi ama cammina nella luce. L’amore, infatti, tanto più si rende visibile quanto più si offre con un senso di pudore, di umiltà, di discrezione. Che la luce debba risplendere ha nulla a che vedere con l’esibizione e il protagonismo. Scelta nient’affatto evangelica quella di sbandierare la carità.
Che bello pensare all’ingresso nel regno come il giorno in cui finalmente sapremo se qualcuno, per averci incontrato, avrà reso gloria al Padre che è nei cieli. Sarà forse la nostra sorpresa scoprire che, forse, pur brancolando nel buio e nella notte, siamo stati luce per qualcuno.
Autore: don Antonio Savone