‘Il seminatore uscì a seminare’…
Ho provato a contemplare a lungo l’immagine con cui si apre la pagina evangelica. Quali provocazioni in quell’uscire del seminatore a seminare! Mi pare indichi anzitutto un atteggiamento di speranza quel suo gesto! Altra vita è ancora possibile e Dio la semina a piene mani anche là dove tu non saresti disposto a scommettere che possa accadere. Questo pensa Dio del terreno che è la nostra umanità: tu puoi ancora portare il frutto sperato. E perché ciò accada Dio non teme che qualcosa vada disperso o sprecato.
Ci sono dei momenti della vita – si pensi agli inizi di una esperienza, di un rapporto – nei quali chi bada a risparmiare, a trattenersi, a speculare, ha già fallito.
Se non si investe tutto senza badare fin da subito ai risultati, si rischia di pregiudicare completamente il buon esito dell’opera. Non è così nell’amore, nell’amicizia, nell’educazione, nel dialogo costruttivo con l’altro?
L’immagine di un Dio che esce e non semplicemente di un Dio che attende. Esce chi non è chiuso nel recinto delle sue certezze e non vive rapporti soffocanti. Esce chi non ha paura di ciò che lo aspetta.
La stranezza di questo seminatore è che non opera scarti, non si sofferma a valutare il grado di fecondità del terreno e neppure lo prepara perché lo diventi. Spine, rovi, pietre: a ciascuno è data una possibilità nuova. Il suo sembrerebbe un gesto stolto perché non semina nei solchi ma fuori, a piene mani. Questo fa Dio.
E l’uomo? Gesù fa comprendere che il seme che Dio getta è sempre un seme esposto, indifeso e perché possa avere efficacia è necessario l’aiuto dell’uomo. E questo non è affatto scontato. Il seme, infatti, ha bisogno dei ritmi e dei tempi della terra: non conosce salti, deve sottostare alla fatica dell’entrare nelle profondità del terreno là dove il buio sembra tutto fagocitare e annientare la fiducia che a suo tempo esso porterà frutto.
Indifeso quel seme perché noi facciamo fatica a comprendere e pertanto basta un nulla perché quel seme ci venga portato via. Non poche volte vediamo ma senza capire; non poche volte vediamo ma continuiamo a negare quel che accade.
Indifeso quel seme perché apparteniamo tutti a una generazione che non ha radice ed è incostante e pertanto a produrre scandalo dentro di noi è molto meno della tribolazione di cui parla Gesù.
Indifeso quel seme perché apparteniamo tutti a una generazione preoccupata, la quale, proprio mentre prova a dare fiducia alla Parola che pure ascoltiamo qui in assemblea, si sente come afferrata da altri impegni che il nostro orologio continua a richiamare.
Indifeso quel seme ogni volta che ai nostri occhi esso appare come impotente perché i fattori esterni (uccelli, sole, spine) sembrano oggettivamente più forti e capaci non solo di bloccarne la crescita ma addirittura di eliminarlo per sempre.
Fruttuoso quel seme là dove qualcuno riesce a credere che la proposta evangelica, lo stile di Gesù, ha ancora il potere di compiere cose sorprendenti e imprevedibili soprattutto là dove sembra persa ogni speranza. Non è stato così per quel seme gettato che è stata la vita di Gesù? Non ha forse conosciuto la prevaricazione, il soffocamento? Eppure quale forza di speranza è venuta a noi dalla morte di quel seme!
Il rischio di una pagina come questa è quello di chiedersi (e lo abbiamo sempre fatto, come se bastasse sapere l’identità del terreno per esorcizzare eventuali difficoltà): io a quale terreno appartengo? Gesù chiede, piuttosto, di spostare l’attenzione: credi che il seme che Dio semina a piene mani nella tua vita possa portare ancora frutto? C’è un seme gettato da Dio anche nella terra delle sopraffazioni che mi permette di non rassegnarmi all’attuale ordine delle cose. Proprio come chi nel buio di un esilio o di una dittatura ingiusta non ha mai rimosso il sogno di una nuova pagina di storia. A tema, infatti, è la nostra fede e la nostra speranza.
AUTORE: don Antonio Savone
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