don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 17 Gennaio 2022

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Gesù era stato appena accusato di essere compagno dei pubblicani e dei peccatori, uno che mangia e beve con gli esattori delle tasse (Mc 2,16). Eppure, proprio questo suo atteggiamento di condivisione, da medico che si prende cura dei malati e non dei sani, da figlio dell’uomo venuto a chiamare peccatori non i giusti, non poteva non incontrare ostilità in coloro che si guardavano bene dal confondersi con gente sospetta e pericolosa. Ed eccoli allora introdurre una seconda accusa nei confronti di Gesù, dopo quella circa il perdono dei peccati.

“Perché… i tuoi discepoli non digiunano?”. E’ ovvio che si tratta di un pretesto per coglierlo in fallo. Ma alla provocazione Gesù non risponde direttamente. Introduce, invece, due motivi di riflessione, che suonano come accusa severa nei confronti di chi resiste al cambiamento. La resistenza al cambiamento sembra essere la malattia di tutti gli ambienti religiosi di sempre. Quando uno non fa le cose tradizionali, quando uno inventa un atteggiamento nuovo lo si mette sotto accusa. Come pure un’altra malattia è il sospetto sulla gioia della gente, su ciò che fa piacere, sul far festa. Un maestro dello spirito deve avere il taglio asciutto dell’asceta. Nel nostro immaginario gli uomini di Dio sono quelli che digiunano e non quelli che mangiano. E’ come se ci fosse un sospetto, come se la religione fosse da abbinare sempre ed esclusivamente al digiuno e non alla festa, al viso rabbuiato e non al volto sorridente, alle prediche e non alla convivialità umana. Certo lo stile di Gesù è dirompente, se da pubblicami e peccatori non aveva preteso una dichiarazione di conversione prima che si mettessero a tavola con lui: per Gesù lo stare a tavola era già una grande e indimenticabile omelia.

“Possono i compagni dello sposo…”: i discepoli di Gesù si dimostrano poco devoti, poco osservanti. Il loro anticonformismo doveva essere addirittura provocatorio agli occhi dei farisei che preferivano mantenere lo status quo. E Gesù li difende: ci penserà la vita a portare i giorni del digiuno, della lontananza. Fintanto che lo sposo è presente lasciamo che i volti abbiano l’immagine della festa. Gesù rivendica a se stesso l’immagine biblica dello sposo: Dio, nei confronti del suo popolo che lo ha tradito infinite volte, usa l’arte del corteggiamento e della seduzione. Siamo continuamente chiamati a scegliere tra una religione di persone e di incontri e una religione di leggi e sospetti. Attenzione, sembra dirci Gesù, a mummificare il cristianesimo. Non si tratta di esaltare il disordine e l’anticonformismo per se stessi: in se stessi valgono quanto il loro contrario. Si tratta di capire che ci sono delle disobbedienze significative, che rappresentano il segno profetico dell’avvento di tempi nuovi: “Vino nuovi in otri nuovi!”: il pericolo da cui Gesù ci mette in guardia è quello di ridurre la fede a un pezzo di panno nuovo su un vestito che rimane vecchio. Un pericolo tutt’altro che superato.

Continuiamo ad aggiungere cose nella vita personale e comunitaria, continuiamo a inventarne altre ma dentro un modello, un impianto e un programma per lo più vecchio.
Si può essere praticanti senza fede, si può fare la carità senza amore, si può essere gelosi dei dogmi senza assaporarne la verità. Vuol dire che a dominare è la lettera (“la lettera uccide, lo Spirito da vita”), la legge, che di volta in volta prende il volto del formalismo, della ripetizione sterile, della disciplina tutta esteriore. In questo modo si finisce per essere persone che patiscono e fanno patire una noia mortale, persone vecchie incapaci di aprirsi al modo in cui Dio si manifesta nella storia degli uomini e perciò l’obbligo è quello di deplorare ogni novità. Il Signore non ci vuole collezionisti di otri vecchi ma uomini e donne che continuamente si rivestono di quell’abito nuovo che è Gesù Cristo!


AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM