Se non fosse per il dramma cui Gesù fa riferimento, la scena riportata dal vangelo avrebbe tutti i tratti del ridicolo. Il maestro è lì a confidare ciò che gli sta davanti – una vera e propria tragedia, come sappiamo – e i discepoli – incapaci persino del rispetto dovuto a chi confida il peso che porta dentro di sé – ad avanzare pretese, vittime come sono del veleno della competizione, dell’arrivismo e della prepotenza. Come si fa a perseguire logiche di potere quando l’aria che si respira è quella della passione e del fallimento? Eppure… gli interessi di bottega hanno la meglio persino sulla decenza. E non era neppure la prima volta.
Per questo, ci è proposto una vera e propria rivisitazione dei nostri desideri, un vero e proprio viaggio nel più profondo del nostro cuore. Me lo immagino il Signore Gesù mentre ripete a noi la domanda rivolta un giorno a due discepoli della prima ora: “Cosa volete che io faccia per voi?”. Tu cosa cerchi? Cosa desideri? Che cosa ti sta davvero a cuore?
Il cuore di ciascuno di noi ospita delle vere e proprie spinte che indirizzano in un modo o in un altro scelte e orientamenti. Che cos’è, infatti, il desiderio se non quella forza che fa intravedere quale progettualità assumere e verso quali orizzonti incamminarsi? Ora, non tutti i desideri si equivalgono e non tutti possono e debbono essere soddisfatti. Per questo è necessario compiere un vero e proprio discernimento, per non ritrovarsi determinati a scegliere qualcosa che non è conforme al vangelo. Certo, nessuno accetta di buon grado un’esistenza trascorsa nell’anonimato. È innato il nostro bisogno di essere accolti, riconosciuti e stimati.
La richiesta della madre di Giacomo e Giovanni – non diversa da quella degli altri dieci, i quali non tardano a manifestare le loro rimostranze perché non sopportano di essere scavalcati – svela quale desiderio muove e orienta la loro esistenza: voler essere i primi. E questo a ogni costo, anche a prezzo di risultare sfacciati: sia fatto secondo la mia volontà. Non hanno, forse, questa tonalità tante nostre richieste consegnate in forma di preghiera e che a noi sembrano più che legittime? Quante frustrazioni nel non vedere esaudite certe nostre suppliche! Abbiamo davvero chiesto il bene per noi? Non attraversa anche noi la ricerca del prestigio e del potere? Chi di noi accetta di buon grado servizi umili e postazioni irrilevanti?
Stando al vangelo, il problema non è voler essere i primi. Gesù non condanna l’ambizione di riuscire. Noi siamo chiamati a riuscire nella vita, ma egli sposta l’orizzonte della domanda, come a dire che la strada per riuscire non è quella imboccata. Quella è una strada chiusa. Il primo posto, infatti, si conquista con il dono. Il primo posto si ottiene nella misura in cui si è disposti a bere al calice di una vita non trattenuta. È un passaggio mai del tutto compiuto quello dall’amore del potere al potere dell’amore.
Tra voi però non è così…
Se la logica che regge il mondo è quella del servirsi degli altri, lo stile che vige all’interno della comunità cristiana è il porsi a servizio degli altri. È possibile vivere diversamente, così come Dio desidera e come il Figlio Gesù ha mostrato. È possibile vivere i rapporti secondo la logica della dedizione e del prendersi cura e non della prevaricazione. È possibile un’esistenza fatta di gesti non interessati. È possibile vivere i rapporti senza dover assoggettare qualcuno.
Il profumo del vangelo continua ad espandersi là dove ci sono comunità contrassegnate da spirito di servizio, da relazioni generose e disponibili.
Il profumo del vangelo si espande là dove c’è qualcuno disposto a bere il calice come il maestro, vale a dire ad andare con lui fino in fondo anche a prezzo della propria esistenza.
Il profumo del vangelo si espande là dove c’è qualcuno che vive da battezzato, immerso interamente nella vita così come accade, anche con il suo carico di sofferenza e di morte.
Il profumo del vangelo si espande là dove non ripetiamo riti vuoti ma assumiamo atteggiamenti che sono il prolungamento della presenza del Signore Gesù in mezzo a noi. Grati non per i riconoscimenti ricevuti, ma soltanto per aver rotto il gioco perverso delle competizioni.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM