Quella donna disperata era diventata per i discepoli solo un peso di cui disfarsi prima possibile, quasi un fastidio di cui liberarsi mettendola a tacere mentre le si assicurava ciò che implorava con forza. Del resto cosa chiedeva? Solo delle briciole che a fronte del pane che aveva sfamato i cinquemila non era proprio nulla. Cosa costavano quelle briciole a chi aveva ben altro potere?
Paradossalmente, proprio essi che a più riprese nel vangelo emergono in tutta la loro piccineria, qui sembrano addirittura più attenti rispetto a un Gesù che “non le rivolse neppure una parola”. Che maleducato, verrebbe da dire! Poteva almeno rispondere.
Ci sono silenzi che spiazzano perché imbarazzano e che, non poche volte, sono letti come parola definitiva di fronte alla quale meglio ripiegare: inutile insistere, meglio salvare almeno la dignità.
Non così la donna, lei non si ferma di fronte al muro del silenzio. Intuisce che lì è in gioco altro, intuisce che le si sta chiedendo un salto di qualità: infatti, potrebbe anche ottenere ciò che chiede senza permettere, però, che questo incida sulla sua vita. In fondo era quello che in modo spicciolo avevano suggerito i discepoli: toglitela di mezzo così non rompe più; lei sarà contenta per aver ottenuto ciò che chiedeva e noi ci siamo tolti un fastidio. Sì, contenta e gabbata. Ad essi non interessava affatto la sua situazione disperata: importava molto di più la loro tranquillità.
C’è una impermeabilità e una chiusura che a volte spaventa. C’è un misurarsi con gli eventi che traduce solo la preoccupazione di chiudere l’affaire prima possibile senza minimamente lasciarsi interpellare da ciò che un evento provoca. La donna, invece, che pure era andata per sua figlia, deve accettare che proprio quella situazione le permetta di nascere alla fede: si sono rovesciate le parti. Non le basta portarsi a casa il miracolo che in questo caso era liberazione della figlia. Intuisce che quella situazione riguarda lei, anzitutto.
Non così i discepoli: per evitare grane finiscono per essere sbrigativi. La mettono sul pratico.
Ne devono fare di strada i dodici! Devono apprendere un po’ di sana gelosia a fronte della fede di una donna che s’accontenterebbe della milionesima parte di quello che a loro è toccato in sorte. È il rischio dei “figli”, di coloro, cioè, che finiscono per dare come scontata ogni cosa e di non riconoscere e apprezzare ciò di cui dispongono: danno per scontato che ad essi il pane spetti per diritto e perciò sia qualcosa di dovuto. Fu il rischio d’Israele, è il rischio di noi cristiani.
“Nessun dono di grazia più ci manca” (1Cor 1,7) ma viviamo forse nella consapevolezza che davvero ci è stato dato tanto senza alcun nostro merito? Era scontato quel Gesù per i dodici: per questo, in un territorio pagano, là dove non ci sono luoghi di culto e non si usa un linguaggio religioso, sono costretti a misurarsi con una fede che non ha eguali, una fede che, quand’anche non conosca la dottrina, sa con chi sta avendo a che fare. Lì, di fronte a lei, la donna non ha un uomo qualsiasi: ha il Signore. Di fronte a lui non ci sono titoli, non ci sono meriti e non ci sono primogeniture da accampare. Le basterebbe persino essere equiparata ad un cagnolino pur di sfamarsi di ciò che cade dalla tavola dell’abbondanza preparata da Dio per i propri figli.
Ne devono fare di strada i dodici! Devono apprendere che cos’è la fede e devono apprenderlo da una donna, pagana per giunta. La fede è non cedere alla disperazione, non temere i contrattempi, non demordere nei ritardi e non ripiegare di fronte a un silenzio che potrebbe sembrare disattenzione. E, in questo, sembra dire Gesù, le donne sono maestre, per questo giocano d’anticipo e si godono le primizie di ciò che Dio suscita in quell’apparente silenzio che non poche volte costringe il maschile a ripiegare nella paura e nel sonno, come accadrà nei giorni della passione.
AUTORE: don Antonio Savone
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