Accettare di morire al proprio modo di vedere le cose, anche per quanto riguarda il rapporto con Dio, è operazione molto più dolorosa e costosa dell’edificare un monumento a quanti in nome di Dio hanno tentato di farci comprendere che cosa stesse maggiormente a cuore a Dio. Per questo i farisei contro cui Gesù si scaglia aspramente si attestano sulle loro posizioni e non si lasciano scalfire neppure dalle più dure invettive. Anzi, tutto diventa pretesto per ulteriori macchinazioni tendenziose.
È dietro l’angolo per ogni generazione di credenti il rischio di celebrare figure del passato e non avere occhi e cuore disposti ad accogliere i nuovi profeti che con premura e sempre Dio invia al suo popolo.
Cosa costruiamo? Come costruiamo? Opere di morte per la morte o opere di vita per la vita?
Non è l’osservanza scrupolosa di una norma a salvarci ma quel di più di umanità che ci porta a non trattare alcuno in modo ostile. I farisei avevano fatto dell’osservanza esteriore di tradizioni e precetti il criterio per avere accesso alla vita di Dio, dimenticando che questa ci è concessa “indipendentemente” (come ci ricorda Paolo nella Lettera ai Romani) dalle opere da noi compiute, grazie alla misericordia Di Dio.
Ai dottori della legge era stata consegnata la chiave per aiutare altri ad entrare nella sapienza di Dio e, tuttavia, per vanagloria e per spirito d’interesse, se ne erano appropriati fuorviando i semplici. Può accadere anche a chiunque di noi eserciti una responsabilità su altri di non permettere di avere accesso alla vita in pienezza e di diventare addirittura un vero e proprio impedimento.
L’unico a non tenere per sé questa chiave di accesso alla vita è il Signore Gesù che mediante il mistero della sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione ha spalancato l’accesso a chiunque desideri attingere a piene mani alle sorgenti della grazia.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM