Le liturgie di fine anno liturgico come quelle dell’ormai imminente tempo di Avvento si incaricano di consegnare ai credenti come una sorta di duplice invito. invito a vegliare per recuperare l’altra faccia delle cose. Invito motivato: infatti, sembra quasi che nella vita sia facile cadere in una sorta di torpore e di insipienza che Gesù cristallizza nel non accorgersi.
È successo ai tempi di Noè, dice Gesù, quando non si accorsero della serietà dell’ora. Succederà allo stesso modo per la venuta del Figlio dell’uomo.
La possibilità di salvarsi è alla nostra porta e bussa quotidianamente interpellandoci. Da che cosa dovremmo essere salvati? Proprio dalla mancanza di uno sguardo profondo, anzitutto. Non era forse questo ciò che mancava alla generazione contemporanea di Noè? Ad avere la meglio su quegli uomini non fu chissà quale malvagità (facevano cose irreprensibili) ma l’indifferenza: vivevano come se non… Nessuno era più in grado di dare un senso a quello che faceva, nessuno ricercava la verità di ciò che stava vivendo: l’illusione di credere che per una vita degna di essere vissuta basti il lavoro (mangiavano, bevevano) e gli affetti familiari (prendevano moglie, prendevano marito).
Non è forse il rischio che corre questa nostra generazione? Quello di essere soltanto assorti nella soddisfazione dei propri bisogni, paghi soltanto della felicità della propria casa tanto da farci sommergere dal diluvio dell’appagamento? La soddisfazione ossessiva dei propri bisogni finisce, non poche volte, per saturare l’organo del desiderio. Non siamo forse talmente zavorrati da tutto quel sistema di sicurezza che abbiamo inventato per escogitare ogni possibile imprevisto, da rischiare di andare a fondo? […]
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AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM