Partenze da decifrare
Ci appartiene non poche volte l’atteggiamento di chi pretende credenziali per essere finalmente costretto all’evidenza che ciò che il Signore chiede è degno di fiducia. Ci accade sovente di andare alla ricerca di segnali grazie ai quali convincerci che davvero vale la pena avere a che fare con Dio: quando Dio, finalmente, è circoscrivibile all’interno del nostro immaginario.
La folla voleva che Gesù si sottomettesse ai suoi criteri. Voleva un Dio a misura delle sue domande e dei suoi bisogni. E tuttavia il suo cuore restava chiuso, ostinato nella propria durezza. Ma a nulla serve mostrare un bel quadro a chi si ostina a non voler aprire gli occhi. C’è una grossa differenza tra cercare i segni e riconoscere i segni.
A questa pretesa, infatti, Gesù non cessa di rispondere che tutto quello che accade è segno di lui. La folla lo segue ma fatica a riconoscere in lui la manifestazione di Dio Padre. E per questo Gesù viene accolto con diffidenza, addirittura verrà contestato e avversato. Eppure quello era il segno che Dio aveva offerto.
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Non occorrono altri segni al di là di quelli che la vita ci mette sul cammino. Occorre piuttosto la capacità di leggere la vita a partire dal segno permanente che per noi resta Gesù Cristo, il suo mistero di morte e di risurrezione.
Quanti segni rischiano di restare insignificanti se non partiamo da Gesù Cristo. C’è una chiamata da parte di Dio anche per noi negli eventi così come accadono. A convertirci non sarà un miracolo ma la disponibilità ad accogliere la vita non secondo ciò che noi pensiamo di essa. Gesù verrà condannato a morte e questo sembrerà smentire ogni pretesa.
Ma quale fecondità da quella morte.
La generazione di Gesù, in definitiva, è convinta che per la propria salvezza quel Gesù non basti, occorre altro, un altro modo di portare avanti le cose. Meglio affidarsi ad altro. Credo sia la nostra stessa situazione quando la vita sembra smentire le nostre aspettative. Io di chi mi fido? A che cosa mi appoggio? Su chi voglio contare?
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È necessario che ci siano segni per indicare qualcosa che va oltre il nostro orizzonte; ma attenzione a fermarsi ad essi invece di andare oltre e a cercarne ancora quando si è giunti a ciò che essi indicano.
Pretendere da Dio “segni” e “miracoli” per continuare a dargli credito è indice di una fede inesistente. Credere è consegnarsi a Dio con un gesto gratuito e fiducioso, perché si è accolto “il segno” che Egli ci ha dato nella persona di Gesù. E questo basta per continuare a vivere. Questo basta per accettare di entrare nella propria morte.
“Li lasciò…”
Quella di Gesù che abbandona i suoi interlocutori è una immagine a cui siamo poco abituati: anche il Signore si stufa di fronte all’ostinata chiusura dei suoi interlocutori alla ricerca di segni evidenti e di risposte eclatanti. Ci ha provato in tutti i modi con i suoi interlocutori ma essi, invece di accettare di essere portati oltre le loro letture pregiudiziali, rifuggono un confronto che potrebbe segnare una svolta per la loro esistenza e pretendono un segno ulteriore. Il loro è il discutere di chi ha già deciso di non essere disposto a trovare un accordo. Non sono ancora sazi, nonostante tutto: non riescono ad andare oltre quello che già conoscono e già hanno visto.
Gesù non fa il prestigiatore che ammalia o seduce. Per questo se ne va: lo fa ogni volta in cui tutto diventa pretesto per non muoversi neppure di un millimetro dal piedistallo della propria supponenza. Il problema, infatti, non è l’elargire ulteriori segni ma comprendere quelli che già abbiamo davanti ai nostri occhi. E allora, anche l’abbandono diventa segno da accogliere e parola da ascoltare.
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