Nelle parole di Gesù si coglie l’eco delle rimostranze dei suoi oppositori i quali lo accusavano di uno stile superficiale, troppo permissivo, una sorta di religiosità a ribasso, un atteggiamento qualunquista, soprattutto per la sua comunione di mensa con quanti erano ritenuti esclusi dalla possibilità di un accesso a Dio e alle cose di Dio.
Il problema, però, non era il suo stile a ribasso (come volevano far intendere scribi e farisei), era piuttosto il loro approccio sclerotizzato della legge antica che aveva finito per inchiodarli alla lettera del testo facendo perdere l’intenzione vera per cui quella norma era stata data. Per Gesù era una questione di intelligenza, come capacità di lasciar parlare volti ed eventi (intus-legere). La norma per la norma non salva nessuno: anzi, come più volte ricordate, non di rado “summum ius summa iniuria” (il più grande diritto può diventare la forma più alta di ingiustizia). Il percorso che Gesù ha proposto attraverso i suoi gesti come mediante le sue parole, era proprio quello di liberare la Legge dalle incrostazioni introdotte dalla durezza del cuore umano facendo brillare l’intenzione vera del Legislatore.
Di tutto poteva essere accusato Gesù, meno che di accomodamento della tradizione antica. I suoi interlocutori erano convinti che bastasse ripetere e applicare la Legge in modo meccanico per potersi sentire a posto, mentre invece essa andava applicata nella vita e inverata da essa. Ben a ragione Gesù accuserà scribi e farisei di eludere il comandamento di Dio per osservare quelle che sono soltanto tradizioni di uomini. Ciò che stava a cuore all’antico Legislatore era la liberazione del cuore da tutto ciò che potesse rinchiuderlo nel proprio egoismo e in una lettura delle cose autoreferenziale. Di certo la Legge antica non mirava alla chiusura del cuore ma a che esso conoscesse e partecipasse dello stesso eccesso e della stessa fantasia di Colui che aveva consegnato quelle norme perché il popolo potesse vivere.
La proposta di Gesù ha niente a che spartire con un atteggiamento grossolano: anzi, per lui, l’amore è davvero questione di dettagli anche minimi. Non si può amare approssimativamente o grosso modo. È l’attenzione al particolare che dice l’orientamento del cuore, ma questo esige un discernimento continuo perché l’osservanza di un codice non tradisca il comandamento (v. l’atteggiamento del sacerdote e del levita che passano oltre per non contrarre impurità). Chi ha fatto esperienza dell’amore del Signore vive come sua unica preoccupazione quella di essere in tutto trasparenza di quella esperienza. Alla fine della vita, infatti, l’attenzione sarà posta proprio sugli atteggiamenti che noi avevamo ritenuti minimi, secondari. È vero: la fedeltà a Dio come la fedeltà all’uomo non imbocca mai la via del pressappochismo ma si esprime di trattino in trattino. L’amore, infatti, vive di piccole cose. Non è forse vero che quando si ama si è capaci persino di prevenire l’eventuale richiesta dell’altro perché lo sguardo guidato dal cuore riesce a leggere molto più oltre? L’amore è solo piccoli dettagli, come canta Giusy Ferreri.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM