Anche voi date testimonianza…
La testimonianza dei credenti, dei martiri, può essere compresa solo alla luce di quella di Cristo. E qual è la testimonianza del testimone fedele? Dio è amore! Padre, perdona perché non sanno quello che fanno. Venga il tuo Regno! Perdona i nostri peccati così come noi perdoniamo coloro che ci offendono.
Il martirio è davvero l’apice del cammino del discepolo. Noi possiamo non morire di morte violenta, ma nella nostra vita cristiana, volenti o nolenti, dobbiamo esprimere la possibilità che questo avvenga.
Dalle parole di Gesù emerge che là dove si manifesta la presenza di Dio, si manifesterà anche la divisione. Infatti, chi vuol essere discepolo del Cristo crocifisso, deve davvero mettere nel conto questa morte “come” la sua; chi realmente esprime la sequela totale, pur non accorgendosene, diventa motivo di divisione – come la Parola, che ‘divide’ l’anima dallo spirito.
Il martirio è la testimonianza perfetta della sequela. Il cristiano-testimone, pertanto, non può seguire il Crocifisso da lontano come faceva Pietro, ma è coinvolto in qualche modo nel cammino del Cristo. “Certo, non ogni sequela si conclude di fatto con il martirio, ma ogni vera sequela ne custodisce la possibilità. Il martirio è un dono che Dio fa ad alcuni, ma la disponibilità a testimoniare sino alle ultime conseguenze fa parte della struttura ‘normale’ del discepolato” (Maggioni).
Testimoni della Verità. Testimone è il discepolo che prende parte al processo ponendosi a fianco del Maestro; vi è infatti la tentazione per il discepolo di mettersi dalla parte del mondo. Crescendo, col passare degli anni, infatti, il dubbio che Gesù sia il testimone della Verità, non ci proviene più dall’esterno, bensì dal nostro cuore. Il martirio è il destino della verità, non della menzogna; è il destino della mitezza, non della violenza.
Testimoni della regalità: “Il mio regno non è ‘da’ questo mondo” (Gv 18,36). La regalità di Gesù è nuova, perché altra rispetto alla regalità mondana. La regalità del Figlio non si esprime nella difesa di sé, ma nel dono della vita; non nella violenza o nel sopruso, ma nell’amore e nel servizio.
Quando si proclama l’assolutezza di Dio, inevitabilmente si scardina qualcosa nella propria vita. Il martirio, infatti, è un processo, un percorso. Il martire è sempre scarnificato: quando proclama la verità, la regalità di Dio, la prima scarnificazione avviene dentro di sé. Ma è proprio questo percorso che lo conduce al martirio: ciò che trasforma una morte violenta in martirio è la verità per la quale il testimone subisce violenza, non l’intenzione di chi lo colpisce.
“Ciò che rende la morte un gesto di libera offerta a Dio e agli uomini non è necessariamente la consapevolezza del momento, ma la libera scelta del modo di vivere che a quella morte ha condotto. La libertà del morire è racchiusa in una libertà precedente: quella di aver scelto un modo di vivere… esposto alla contraddizione e alla violenza; il martire non sceglie la morte ma un modo di vivere come Gesù ”.
Testimoni della solidarietà e della condivisione. “Fare proprie le sofferenze degli altri, scendere ogni gradino fino a porsi accanto all’infimo dei peccatori, legare la radice dell’anima del peccatore alla propria anima, soffrire per amore d’Israele, è appunto ciò che Cristo ha compiuto. E i martiri sono abilitati a compiere la stessa cosa, proprio perché sono convinti che Cristo soffra in loro e assieme a loro”.
La Tradizione ne sottolinea alcune forme;
- a preghiera di intercessione; il martire, nel momento della morte, si fa intercessore per i fratelli: “Signore, non imputare loro questo peccato” (At 7,60). L’intercessione del martire continua anche dopo la morte;
- i pesi degli altri. C’è una condivisione reciproca che è un martirio volontario; tale condivisione è intesa nel senso di prendersi gli uni i pesi degli altri, i peccati degli altri!
Si racconta che «due monaci andarono al mercato per vendere la loro merce, e uno di loro, dopo che si fu separato dall’altro, cadde nella fornicazione. L’altro, venuto da lui, gli disse: “Torniamo alla nostra cella, fratello”, ma quegli rispose: “Non vengo”. E l’altro lo pregava: “Perché fratello mio?” Ed egli: “Perché, quando ti sei allontanato da me, sono caduto in fornicazione”. L’altro, volendo guadagnarlo, cominciò a dirgli: “E’ accaduto così anche a me, quando mi sono diviso da te; ma andiamo, facciamo penitenza con tutte le forze e Dio ci perdonerà”. Tornati, confessarono agli anziani quanto era loro accaduto; questi diedero loro ordine di fare penitenza, e così uno faceva penitenza per l’altro, come se anche lui avesse peccato. Dio, vedendo la fatica della sua carità, pochi giorni dopo rivelò ad uno degli anziani che, per amore del fratello che non aveva peccato, aveva perdonato al peccatore. Ecco, questo significa deporre la propria vita per il fratello».
Questo è il martirio, questa è la condivisione: assumere il peccato dell’altro, portare gli uni il peso degli altri.
– la paternità/maternità spirituale
“il padre spirituale non è meramente un consulente che distribuisce consigli distaccati, da una distanza di sicurezza; e neppure uno che si limita a pronunciare la formula di assoluzione in maniera strettamente giuridica; neppure un confessore, sebbene questi agisca in ottica sacramentale. Egli è, fondamentalmente, uno che si fa garante dei propri figli spirituali, assumendo il peso della loro angoscia e della loro colpa sulle proprie spalle, rispondendo per loro al giudizio finale, e unendosi a loro mediante l’amore”.
Il fratello è colui che si ‘addossa’ l’altro, se lo carica.
Ma se il martirio è tutto questo, allora c’è davvero necessità dello Spirito Santo, perché senza Spirito non si dà martirio. Un detto dei Padri del deserto afferma: “Dà sangue ed otterrai lo Spirito”, evidenziando così la circolarità profonda tra ascesi, martirio quotidiano e Spirito Santo.
AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM