Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si cantano. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno C” disponibile presso:
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5a Domenica del Tempo Ordinario
La parola di Gesù è affidabile
Gli inizi sono sempre spumeggianti, come l’onda che lambisce i piedi di Gesù e di Pietro, d’ora in poi associati in una pesca che si compirà non in mare ma sulla terra e che avrà come bottino prezioso gli uomini. Poiché chi prende l’iniziativa è Cristo, Parola fatta carne, l’avvio di questa nuova storia non poteva non avere come protagonista assoluta la Parola predicata, ascoltata e creduta. Gesù sta annunciando la Parola di Dio, la quale richiama una folla così numerosa che sembra non lasciargli spazio, occupare tutte le sue energie e l’orizzonte visivo. Eppure ciò non gli impedisce di scorgere due barche ormeggiate e i pescatori intenti a celebrare i riti conclusivi di una liturgia funebre, perché quella notte non presero nulla. Ed è su questo fallimento che la Parola si arena, decidendo di incagliarsi tra i lacci di reti che avrebbero voluto trattenere pesci, speranza di pane per moglie e figli, ma che adesso ospitavano solo delusione e amarezza.
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Accade che, ovunque la Parola trovi la sua dimora, cominci a risuonare; e dove risuona, essa guarisce e fa risorgere. La fecondità della Parola (e della pesca) dipende in parte dalla fede dell’uomo, sicché l’esito di quell’incontro è legato alle inevitabili domande disseminate lungo il racconto che Pietro si pone, e il lettore con lui. Quando Gesù chiede a Simone di scostarsi da riva per ammaestrare le folle dalla barca, ci si può domandare se il pescatore accetterà la richiesta di quello sconosciuto; il medesimo interrogativo, ma con una suspense amplificata, sorge quando inaspettatamente gli chiede di calare di nuovo le reti. La decisione di Pietro dipende dalla risposta ad un’altra domanda sull’identità di Gesù: chi è costui? È affidabile la sua Parola? Ora, ci sono dei momenti in cui il Signore si fa sentire in modo particolare e non abbiamo dubbi sulla sua ‘affidabilità’: quando dentro il mio fallimento stilla di nuovo l’abbondanza, è Lui che sta passando; quando ho la chiara percezione della mia piccolezza e tendo spontaneamente le mani verso il cielo, come a voler essere preso in braccio, è Lui che sta passando; quando mi sento chiamato a fare qualcosa che da solo non avrei mai pensato di fare e scopro in me potenzialità che non pensavo di avere, è Lui che sta passando.
Il problema è che prima di vedere i segni del suo passaggio bisogna vivere il dramma della scelta, se fidarsi o no di Lui, mentre ancora siamo nell’incertezza e non avvertiamo la sua presenza consolante. È in questi momenti di buio, paragonabili alle tenebre di quella notte infruttuosa, che si è invitati a valutare il peso della sua Parola nella propria vita. Talvolta ciò che Gesù chiede stride con l’evidenza dei fatti; non che sia contro la logica, ma trascende ogni considerazione utilitaristica: che senso ha ripetere un’operazione che per tutta la durata della notte si è rivelata vana? Non è l’invito di Gesù un insulto al lavoro dei pescatori, o quantomeno una richiesta ingenua?
Evidentemente l’assenso di Pietro è ispirato dall’idea che quell’uomo è degno di stima; è la novità assoluta di Gesù, che rompe ogni schema, a rendere plausibile il nuovo tentativo assai rischioso. Sì, perché il pescatore si sottopone non solo all’incognita di una ulteriore fatica sprecata, ma soprattutto all’eventualità di una cocente delusione. Ma qui entra in gioco l’amore. Per questo egli getta le reti, che non è ancora gettare se stesso nel mare dell’amore, come farà nel vangelo di Giovanni dopo la risurrezione, ma è già un entrare in relazione profonda con Cristo.
La pesca doveva essere abbondante e così fu. Non che la qualità del nostro rapporto con Gesù sia subordinata al conseguimento dei doni che desideriamo; fortunatamente il Signore non si piega a questa logica tutta umana, ma la sua pedagogia prevede almeno all’inizio un segno di ‘sovrabbondanza’. Direbbe Paolo: «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia». Non è un caso che la ricchezza del dono richiami subito nel cuore di Pietro la percezione del suo peccato: solo alla luce della grazia di Cristo acquistiamo consapevolezza della nostra indegnità. Certo, se affrontassimo da soli questi momenti di presa di coscienza della nostra storia di male, ci chiuderemmo al perdono di Dio; ma la grazia ci precede e nel racconto essa vanifica la confusa richiesta di Pietro che il Signore si allontani da lui. Lo ha chiamato Kyrios; adesso è pronto a diventare apostolo. Si è fidato della sua Parola e ha messo a disposizione la barca: in cambio ha avuto pesci e anime, e in aggiunta il riscatto dal peccato.
don Antonino Sgrò