don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 27 Agosto 2023

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Lasciarsi scavare da una domanda

Mt 16, 13-20

In quel tempo, 13 Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14 Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15 Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17 E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18 E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20 Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

«Beato sei tu» che hai riconosciuto Gesù come «il Figlio del Dio vivente»; beato perché ti sei lasciato interrogare e hai fatto parlare il cuore, hai dato un volto all’amore e ricevuto un nome nuovo. Chiamata e risposta, visione e riconoscimento sono per Pietro frutto di una grazia di rivelazione proveniente dal «Padre che è nei cieli». Senza tale dono dall’alto, l’apostolo sarebbe rimasto il povero pescatore «Simone, figlio di Giona», certo di una paternità umana ma ignaro di quella divina, che invece lo apre ad una vocazione santa e fondativa: diventare roccia della Chiesa, legare e sciogliere.

La grandezza della missione petrina è opera di Dio, che ha creduto nell’uomo nonostante il carattere duro e impulsivo e le successive infedeltà. Il nostro è un Dio tenero che diventa ostinato nella fiducia accordata all’uomo peccatore: non rinuncia ad avvalersi nella costruzione del suo regno di collaboratori indegni per mostrare che la sua azione principale è la trasformazione del cuore. Tale conversione richiede anzitutto un cammino di autenticità e l’assunzione di una responsabilità. Non basta più che i discepoli provino ammirazione per Gesù mantenendo una vaga idea di Lui; è necessario prendere posizione riguardo a Cristo, riconoscerlo dentro di sé e davanti agli uomini.

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È ciò che fa Pietro, ancora ignaro delle conseguenze della sequela, ma qui apprezzabile per lo slancio d’amore verso il Maestro, che lo costituisce basamento dell’edificio della Chiesa, costruzione talmente stabile che «le potenze degli inferi non prevarranno su di essa». Eppure, se leggiamo alcune pagine oscure della storia della Chiesa, ultima quella della pedofilia di alcuni suoi ministri, saremmo indotti ad affermare che il male ha prevalso. In realtà il Maligno ha danneggiato la compagine ecclesiale, ma non ha potuto stravolgerne le dimensioni dell’identità e missione. La prima è data dall’appartenenza al suo fondatore, Gesù, che la definisce «mia»; la seconda dal compito di favorire l’incontro col Signore.

«A te darò le chiavi del regno dei cieli». La chiave rende accessibile un ambiente, ossia il mondo di Dio, che altrimenti rimarrebbe impenetrabile all’uomo. Tale accesso è garantito dalla mediazione dei successori di Pietro e degli altri apostoli: ‘legare’ significa non soltanto proibire, ma fa pensare ai legami santi creati fin da quaggiù e che un giorno ci ritroveremo in Paradiso; ‘sciogliere’ non è unicamente permettere, ma soprattutto sciogliere i nodi interiori che impediscono all’uomo di accedere alla grazia, ossia il peccato e tutto ciò che può allontanare da Dio. Che gioia vedere una persona che ritrova l’amicizia con Gesù dopo un tempo di ambiguità. Prima la si vedeva nervosa e sfuggente, anche confusa; il ritorno alla vita della grazia rende pacificati interiormente, disponibili con gli altri e più efficaci nel portare a termine le opere intraprese!

Dunque chi risponde compiutamente alla domanda sull’identità di Cristo si sente rivelare, come fu per Pietro, un nome nuovo. In un tempo in cui tutti ‘taggano’, etichettano cose e persone a loro piacimento, il vangelo ci dice che un nome non vale l’altro; il cristiano si sente chiamato per nome da Dio e si lascia definire soltanto dalle esigenze e norme evangeliche. Che tristezza vedere che anche per tanti cristiani è tutto uguale: convivere è diventato come sposarsi, interrompere la gravidanza un fatto plausibile, lasciare il proprio stato di vita un atto di coraggio invece che il fallimento di un progetto: in quest’ultimo caso la crisi personale avrebbe potuto comportare più opportunamente l’occasione per emendare lo stato di vita.

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«Ma voi, chi dite che io sia?». È bene sentircela rivolgere ogni tanto questa domanda, soprattutto quando, come i discepoli, abbiamo detto sì a Gesù e abbiamo vissuto e camminato con Lui per tanto tempo. Infatti è facile perdere di vista il valore e il senso di un percorso iniziato, fare arenare una relazione d’amore solo perché si perde il desiderio di interrogarsi a vicenda per scoprire sempre un po’ di più di noi e dell’altro.

Quanto invece è ‘edificante’ vedere sacerdoti anziani che, con poche forze e occhi stanchi, continuano a recitare il breviario sfogliandone le pagine con la delicatezza di una mamma che accarezza il suo bambino; quanto edifica la Chiesa incontrare coppie che dopo cinquant’anni di matrimonio si cercano e si tengono ancora per mano! Ed io come edifico oggi la Chiesa? Rispondendo con umiltà e generosità alla vocazione ricevuta e tenendo sempre fisso davanti agli occhi il volto dell’Amore.

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22a Domenica del Tempo Ordinario – Lasciarsi scavare da una domanda …

Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vivono. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno A” disponibile presso:

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