Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si cantano. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno C” disponibile presso:
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13a Domenica del Tempo Ordinario
Radicalità con sé e pazienza col prossimo
È il momento della svolta. Non che Gesù finora abbia tergiversato nel realizzare la sua missione, ma è giunto il tempo in cui quanto annunciato deve compiersi. Il cuore del Figlio è sempre stato abitato dal pensiero del ritorno al Padre, che implica il distacco da questo mondo. Per noi si tratta di una riflessione dai contorni ambigui, sappiamo ma spesso vogliamo evitare l’idea della morte, accogliendola soltanto quando essa ormai ha preso corpo in noi. Cristo invece indurisce il volto, come il Servo di Yhwh che in Isaia accetta il destino di persecuzione, e inizia il viaggio verso Gerusalemme inviando «messaggeri davanti a sé». Gesù ha chiara la meta e percorre delle tappe intermedie, ognuna delle quali rivela un aspetto del suo e nostro cammino pasquale.
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In particolare, Luca pone nei versetti successivi due episodi diversi ma complementari, il rifiuto dei Samaritani e le esigenze della sequela. Come reagire al rigetto? Dinanzi ad un fallimento noi rischiamo di scoraggiarci e di mettere in questione la destinazione ultima della strada intrapresa; il vangelo invece non pone in discussione la meta, perché il progetto di Dio si realizza sempre, anche prendendo direzione diverse da quelle inizialmente immaginate, e ci invita ad essere perseveranti nel discepolato.
Il ruolo dei messaggeri che preparano la via a Gesù è per noi come la perlustrazione di chi si reca nel luogo della festa a controllare che ogni cosa sia al proprio posto, e mentre osserva si lascia accarezzare dall’immaginazione, sognando come potrebbe svolgersi quella gioiosa adunanza. D’improvviso qualcuno impedisce per futili motivi e con arroganza che si celebri la festa, come fanno i Samaritani, dominati dai pregiudizi religiosi per il fatto che «era chiaramente in cammino verso Gerusalemme».
La reazione di Giacomo e Giovanni è addirittura violenta ed essi vorrebbero che scendesse un fuoco dal cielo per consumare questi nemici. È proprio qui che si misura quanto il cuore del discepolo sia conforme a quello del Maestro o sia ancora dominato dalle proprie pulsioni. Gesù non oppone mai al rifiuto la vendetta, ma si lascia seriamente interrogare dalla libertà dei suoi interlocutori, non la banalizza mai, la rispetta sempre. A parole tutto ciò è semplice e condivisibile, tuttavia nella concretezza della vita spesso ci lasciamo sopraffare dalla tendenza a reprimere le scelte altrui, specialmente se si tratta di persone deboli o palesemente in errore.
L’atteggiamento di Cristo è invece quello della radicalità con sé e della pazienza estrema col prossimo. A te stesso devi chiedere ogni sforzo e rinuncia; agli altri soltanto ciò che in quel momento possono o vogliono darti. Certo, tale logica rallenta i processi, rende profeti nel deserto, non evita agli altri gravi errori… quale allora il guadagno? Se c’è una cosa che Dio non tollera, è che ci sentiamo costretti ad amarlo e a sostenere qualsiasi sacrificio senza la libera adesione della volontà.
È questo il motivo per cui nell’episodio successivo Gesù sembra addirittura scoraggiare i tre individui che vorrebbero seguirlo. «Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». Non puoi pensare di essere una sposa a intermittenza e avere una tana in cui tuo marito non può entrare, in cui puoi non essere sposa, dove trovare uno stacco che compensi qualcosa che temi di aver perso, per poi tornare ad essere sposa.
Non puoi essere un padre a intermittenza, avere un nido dove trovare appagamento lontano da moglie e figli. Non puoi essere sacerdote a intermittenza, cercando più che dei volti da contemplare delle conferme al tuo bisogno di sentirti dire che sei bravo, perché questo non è amare! Così come non c’è affetto o esigenza familiare che possa giustificare un ritardo nella sequela, neanche la morte e sepoltura del padre.
Gesù sta qui provocando gli ascoltatori del suo tempo e noi: «Tu invece va’ e annuncia il regno di Dio», perché è nel metterti a servizio del vangelo che ritroverai la benedizione e il centuplo della paternità che si è spezzata nell’orizzonte della contingenza. Infine, non è possibile mettere mano all’aratro e volgersi indietro, non solo perché la nostra sensibilità vuole che si concludano le cose avviate, ma perché il contadino che non regge bene quel legno trainato da animali da soma rischia di ribaltarsi sotto il suo peso e di morire. Sì, interrompere il cammino dietro Gesù significa consegnarsi alla morte dell’anima; avere titubanze vuol dire impedire che il flusso di vita che il mondo riceve dall’annuncio del vangelo irrori la nostra povera terra.