don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 2 Luglio 2023

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13a Domenica del Tempo Ordinario

Basta un solo bicchiere d’acqua fresca

Mt 10,37-42

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 37 «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; 38 chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. 39 Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. 40 Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42 Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

‘A chi vuoi più bene: a mamma o a papà?’. Un bambino si sente spesso rivolgere dagli adulti questa domanda, che francamente costituisce un’eresia pedagogica, perché può generare un forte senso di colpa nel fanciullo, costretto a rispondervi per le insistenze di zii, amici dei genitori o altri ‘raffinati’ educatori. Diverso è il caso di un soggetto giovane o ancor più adulto, che deve porsi l’interrogativo su ciò che è prioritario nella vita. Non tutto è uguale.

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Il contesto in cui viviamo tende a porre ogni cosa sul medesimo piano: oggi si plaude all’inizio di una convivenza come se fosse un matrimonio sacramentale, si considera l’aborto una scelta legittima al pari della prosecuzione di una gravidanza a rischio, si interpreta l’abbandono di uno stato di vita come un atto di coraggio invece che il fallimento di un progetto. Eppure nell’amore si possono sbagliare modi e parole, possono accadere fraintendimenti, ma Gesù afferma che il volto della persona amata non può essere che il suo, quello di Cristo stesso. Cogliamo come tale concetto sia molto difficile da comprendere, perché la persona di Gesù non è la prima a manifestarsi alla coscienza del soggetto, che nelle prime fasi dell’esistenza ha nella madre tutto il suo mondo, poi nel padre e via via entra in relazione col mondo.

L’uomo di fede, che ha ricevuto l’annuncio del vangelo, col tempo comincia a delineare dinanzi a sé il volto del Signore. Più sei discepolo, più ti accorgi che Cristo non lo puoi amare per secondo, sia perché Lui è affascinante e suscita in te la capacità di esprime un amore sincero e puro, sia perché è Lui stesso a chiedertelo. Il nostro è un Dio esigente, capace di perdonare ogni peccato, ma che sull’amore non fa sconti, perché l’amore è vita. Nulla dunque può essere anteposto all’amore per Cristo, perché esso è la sorgente che dà vita ad ogni amore e, perdendolo di vista, ogni affetto verso l’altro sarebbe un camuffamento dell’amore, malato di egoismo o dipendenza.

Gli affetti naturali sono appunto naturali; l’amore per Dio si pone su un piano soprannaturale, quello della grazia, che ti fa andare oltre le evidenze. Il rischio dei legami naturali è che essi sono conservativi: non che questo sia un male, anzi guai se i legami di custodia e promozione dell’altro non fossero sempre più stretti, ma potrebbero diventare asfissianti e impedire alla persona di realizzarsi secondo la vocazione che Dio le dona.

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È in gioco dunque la chiamata al progetto del Signore, che chiede un distacco da se stessi e dal proprio ambiente protettivo, perché chi ama, donando tutto, si dichiara disponibile alla perdita, si espone ad una certa nudità. Ecco perché Gesù parla di prendere la croce e seguirlo: passare da una mentalità autocentrata ad una piena dedizione a qualcuno, richiede un continuo lavoro su di sé, che è possibile effettuare solo in nome di Cristo e nella consapevolezza che Egli ci precede e ci incoraggia in quest’esodo dal nostro io.

«Chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà». Scommettere tutto su Gesù e il suo vangelo, senza riservarsi un’alternativa né la possibilità di tornare indietro, richiede certo un notevole atto di coraggio, ma chi lo compie ha già incontrato il Signore, sa che può fidarsi ed è contento di aver lasciato tutto per un vuoto che il Signore riempirà.

È questa la logica, su tutti, dei consigli evangelici di obbedienza, povertà e castità: chi li segue non si ritrova nulla sul momento, se non l’esperienza di una libertà interiore che però rende generativi nell’amore. Più sei libero più ami con cuore indiviso, fino a poter scegliere di amare concretamente Dio, il quale prende corpo soprattutto nelle membra fragili della sua Chiesa. Quando siamo stati più felici? Sicuramente quando abbiamo aiutato una persona disperata, le abbiamo offerto motivazioni per non abbattersi e ricominciare: la gioia di aver fatto ciò che, immedesimandoci in quella storia, avremmo desiderato per noi, ci ha reso felici.

Non è allora l’appagamento di un appetito naturale che ti dà pienezza, ma l’accoglienza dell’altro. In particolare, Gesù dice che chi accoglie colui che si presenta in nome di Cristo, «non perderà la sua ricompensa», perché entrerà nel regno, dal momento che accogliere l’inviato di Dio significa accettare il suo messaggio che stana i compromessi, non tollera l’ingiustizia e chiede verità.

Basta dunque «un solo bicchiere d’acqua» dato per amore di Gesù per inserirsi nella corrente viva del vangelo; basta metterci amore per essere graditi a Dio, pur senza aver compiuto atti eroici.

Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vivono. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno A” disponibile presso:

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