don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 20 Giugno 2021

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Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vedono. Commenti ai Vangeli della Domenica dell’Anno B” disponibile presso:
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La fede è un cuscino nella tempesta

Mc 4, 35-41

«Passiamo all’altra riva». Un invito coraggioso e inequivocabile, che ti chiede di rompere gli indugi, di non accontentarti di ciò che hai acquisito e che ti fa star bene, perché a volte le nostre sicurezze e comodità sono delle gabbie dorate. L’uomo si evolve se va oltre, se la sua vita diventa un esodo verso una promessa di più vita, di più amore. Oltre il lago c’è la terra dei Geraseni da evangelizzare, ma dentro il lago c’è una prova di fede da affrontare. È sera, l’oscurità ricopre la vicenda umana, che però non può arrestare il suo cammino per paura del buio. Ad esso si aggiunge il mare, simbolo di quanto di più terrorizzante possa incontrare l’uomo: il mare non lo controlli, è fonte di pericolo mortale, rappresenta la precarietà della vita e la forza del male. «Lo presero con sé, così com’era», perché Gesù o lo accetti per come è, e non come vorresti che fosse, o la fede non sarà mai un’uscita da te stesso per appoggiarti unicamente a Lui. «C’erano anche altre barche», perché la fede è un cammino in cordata in cui ci si aiuta a vicenda.

Ed è proprio il pericolo più temuto ad accadere. Tre sono le caratteristiche della tempesta: può arrivare all’improvviso; non sai quanto dura; puoi trovarti ad affrontarla da solo. Le onde sulla barca richiamano i momenti in cui l’acqua ti giunge alla gola, ti senti spacciato. Tuttavia la vera ‘sorpresa’ del racconto non è la tempesta in sé, ma la reazione di Gesù, che «se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva». Se il resoconto storico qui ‘fa acqua’ e risulta poco attendibile, Marco ci invita ad una lettura teologica di ciascuno di questi elementi. Il sonno dell’uomo evoca la morte e la paura di essa, come accade al Getsemani a Pietro, Giacomo e Giovanni, incapaci di vegliare col Maestro. Per l’uomo Gesù, invece, il sonno è un forte richiamo all’unico momento in cui Egli simbolicamente dorme, ossia nel sepolcro, quando va a risvegliare e portare la salvezza alle anime defunte. Ecco la grande illuminazione nel buio di quella notte, la ‘quiete dopo la tempesta’: quando sei in pericolo mortale perché l’acqua ti giunge alla gola, ricordati che sei discepolo di un Dio che dorme, cioè che è morto e risorto per te. Dunque il sonno di Gesù è la risposta più eloquente ad ogni dramma umano; la sua Pasqua è l’intervento salvifico che assicura a ciascuno la certezza della vittoria finale dopo ogni tribolazione e alla fine della storia universale. Tenerissima è poi l’immagine del cuscino, che vedo come il cuore del Padre sul quale Cristo riposa, invitandoci a fare altrettanto.

I discepoli lo destano, e implorano il suo intervento: «Non t’importa che siamo perduti?». Signore, ti importa di me? È il grido della fede, pur se ancora immatura; è il bisogno del cuore umano che chiede prossimità e sostegno quando si sente minacciato di morte. Nessuno può essere insensibile alla richiesta di chi avverte tanta disperazione da non vedere via d’uscita. Anche se questa esperienza è portatrice di un dolore indicibile, dobbiamo però benedire il Signore quando ci dà la grazia di avvertire nelle nostre viscere il grido del bisognoso, quando ci fa perdere il sonno perché qualcuno nella sofferenza ci interpella. E infatti Gesù si desta, esorcizza il vento e il mare, instaura una sorte di pace cosmica in cui gli elementi della natura non sono più minacciosi ma si pongono a servizio della vita dell’uomo.

Dopo il grande segno, l’appello alla fede dei discepoli, con la stigmatizzazione della paura. Quest’ultima è infatti la vera nemica della fede; i peccati più grandi li commettiamo per paura, non per cattiveria. Il timore di rimanere soli può portare a diventare egoisti o ad accontentarsi di amori malati; la paura del nuovo può rendere pusillanimi al punto di rinunciare a vivere e negarsi sempre esperienze positive. Occorre farsi scavare da una domanda, la stessa dei discepoli: «Chi è dunque costui?». Chi sei, tu che operi prodigi, che mi hai liberato dalla morte, che mi incoraggi a sperare ancora?

Se non teniamo vivo continuamente tale interrogativo, affronteremo le vicende della vita come una successione di eventi favorevoli o contrari, senza mai riuscire a cogliere il messaggio di tenerezza che Dio ci riserva in ognuno di essi. Solo una fede che si interroga comprende i fatti esistenziali come facenti parte di un unico progetto d’amore, in cui non importa che tutto vada bene, ma che Cristo sia presente nella barca della tua vita, che sia seduto al posto del timoniere e che ‘dorma’, cioè che sia sempre creduto come il Messia crocifisso che salva nella morte.