don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 2 Aprile 2023

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Domenica delle Palme

L’amore abita il dolore

Mt 26,14–27,66 (forma breve: Mt 27,11-54)

In quel tempo, 11 Gesù comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». 12 E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla. 13 Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». 14 Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. 15 A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. 16 In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. 17 Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». 18 Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia. 19 Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». 20 Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. 21 Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». 22 Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». 23 Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!». 24 Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». 25 E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». 26 Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. 27 Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. 28 Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, 29 intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». 30 Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. 31 Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo. 32 Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. 33 Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», 34 gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. 35 Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. 36 Poi, seduti, gli facevano la guardia. 37 Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei». 38 Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra. 39 Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo 40 e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». 41 Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: 42 «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. 43 Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». 44 Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo. 45 A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. 46 Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 47 Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». 48 E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. 49 Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». 50 Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito. 51 Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, 52 i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. 53 Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. 54 Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».

Amare e basta. Amare nella condizione che sembra più inospitale all’amore, la solitudine del dolore. Amare quando intorno non c’è amore che alimenti il tuo, ma solo odio e violenza. Da dove ha tratto Gesù tutto l’amore che è riuscito a esprimere nella passione? Ciò che lo ha guidato è stata la consapevolezza che l’immane tragedia che lo stava attraversando non era estranea al volere del Padre, anzi era sapientemente disposta da colui che desiderava in tal modo recuperare a sé i figli dispersi. E Gesù accetta il disegno del Padre, lo fa suo, come noi che quando amiamo e soffriamo per amore diamo ospitalità dentro il nostro dolore all’intento divino di toccare il cuore di qualche suo figlio, perché certamente il nostro patire diventa dono d’amore per qualcun altro.

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La consapevolezza del disegno paterno emerge fin dall’interpretazione che Gesù dà del gesto dell’unzione di Betania, ricollegandolo alla sua sepoltura e profetizzando la sua perpetua memoria. Dunque tutto è scritto e rimarrà scritto in quanto è il Padre a volerlo. Ma perché Dio permette questo sacrificio consumato nel più totale abbandono da parte degli intimi di Gesù e soprattutto nella percezione della lontananza dello stesso Padre? Cristo nel Getsemani «cominciò a provare tristezza e angoscia»; tuttavia Dio non risponde alla richiesta del Figlio di allontanare il calice di dolore, non gli ha risparmiato la croce, ma lo ha aiutato ad affrontarla.

Il silenzio di Dio non è altro che un modo diverso di parlare. Sostenuto da questa certezza, Cristo prosegue il cammino, in cui il suo corpo diventa un oggetto in mano altrui. Una delle forme primordiali di autodifesa è dire: “non mi toccare”; lo dice il bambino al coetaneo col quale si azzuffa e lo diciamo a maggior ragione noi a chi avvertiamo possa farci del male. Gesù non si difende ma accetta che il suo corpo sia alla mercé di coloro che non hanno ancora compreso che in realtà esso è il luogo della manifestazione massima dell’amore, perché sa che anche da un contatto malevolo col suo corpo può scaturire la vita!

Vi è anzitutto il bacio di Giuda, gesto d’amore che l’uomo manipolatore ha riempito del veleno della morte. Subito dopo gli «misero le mani addosso e lo arrestarono», come a voler imbrigliare quella potenza d’amore da cui usciva una forza che in tre anni aveva guarito tanti. Ci sono anche parole che ruotano attorno a Gesù, parole di falsi testimoni che alimentano le accuse dei capi religiosi e le parole dinanzi a Pilato che bramano il sangue dell’innocente. Intanto, mentre egli è sballottato tra il potere religioso e quello politico, si consuma il tradimento di Pietro: al maestro è tolto anche il sostegno del discepolo, la creta si ribella al vasaio.

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Non si trova niente di umano che supporti Gesù e questo avrebbe fatto desistere chiunque. Tutti noi, infatti, anche se siamo disposti a sacrificarci, vogliamo almeno che il nostro dolore sia riconosciuto da qualcuno. A Cristo non è data tale percezione, ma deve solo trarre forza in se stesso e lì cercare il volto del Padre. Gesù non scorge questo volto, ma lo può sognare proprio mentre il suo stesso volto viene sputato: la nostalgia del volto di Dio, di cui quello umano è immagine, diventa il principio della ricostruzione di ogni volto umano deturpato. 

Poi la tentazione più grande: scendere dalla croce e salvare se stesso. Era a portata di mano la salvezza, ma Cristo ha saputo rifiutare una soluzione facile. L’amore spinto fino alla fine diventa così fecondo, come dimostra la professione di fede del centurione: «L’uomo di guerra ha visto il capovolgimento del mondo, di un mondo dove la vittoria è sempre stata del più forte» (Ermes Ronchi). È infatti questo amore disarmato che convince e apre i cuori più lontani dalla logica del dono. L’uomo Gesù mostra che esiste un altro modo di reagire alla violenza, ossia la forza dell’offerta e del perdono, sostenuti dalla speranza che il Padre è fedele e concede ciò che promette.

L’istituzione della Eucaristia, che anticipa la morte di Gesù, oltre a dire la consapevolezza di Cristo nell’affrontare la passione, diventa il principio di unità attorno al quale il popolo di Dio può ritrovarsi per superare lo scandalo della morte del Maestro e accogliere la vita nuova della risurrezione. La comunità fallisce e muore dinanzi alla croce, ma la comunità del Risorto nascerà e si ritroverà dinanzi a quel pane spezzato. La donna di Betania, Simone di Cirene, il centurione e Giuseppe di Arimatea sono il segno della nuova comunità di fede nata dalla Pasqua. Ed io in chi mi identifico?

Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vivono. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno A” disponibile presso:

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