don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 19 Febbraio 2023

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L’Amore oltre ogni limite

C’è un limite a tutto, si dice abitualmente. C’è un limite al dolore sopportato, alle offese subite, alla generosità elargita. Ma è davvero così? Parlare del limite significa alludere a qualcosa che non bisogna superare, ed è vero che non si deve andare oltre certe cose, dal momento che la nostra vita si regge su equilibri da mantenere per custodire la serenità. Tuttavia Gesù ci ha detto e mostrato che è lecito trascendere un solo limite, che non ti puoi contenere nell’amare, che l’unica eccedenza mai sgradevole è quella dell’amore. L’incarnazione di Cristo è la benedizione del limite umano; il Signore, scegliendo di diventare uno di noi, ha trasformato i limiti da muri contro cui sbattere in sentieri da percorrere per amare di più.

La violenza gratuita, ad esempio, susciterebbe una reazione uguale e contraria, proprio perché l’istinto di sopravvivenza fa della vendetta quasi un’esigenza vitale; eppure anche in questo caso Gesù chiede di opporsi al male facendo il bene. A chi ti dà un manrovescio, che non è solo uno schiaffo, ma un gesto che lede la dignità perché chi ti colpisce così ti considera una nullità, il Maestro chiede di non imitare un’offesa tanto sprezzante, anche perché, diremmo ai bambini, così facendo sei come una scimmietta, che imita chi le sta di fronte. L’altro ti colpisce? Il male resta tuo; io però non voglio essere contagiato da questo virus della violenza. Il perdono è l’unica novità che immette nella storia energie di vita e nasce da un cuore che ha scelto l’amore prima e oltre tutto.

Il limite è così superato dal riconoscimento del volto di chi ti fa del male come un volto da amare. Chi vuole toglierti cose, onore e stima, riceverà dal discepolo di Gesù anche il mantello, che la Legge considerava inalienabile perché era come la pelle, l’unica cosa che restava al povero dopo che aveva perso tutto. Non dobbiamo aver paura di restare nudi, come Gesù sulla croce, perché la nostra è sempre una nudità rivestita dalla grazia; anzi, l’esperienza della perdita, quando è permessa da Dio, è quanto di più liberante possa essere vissuto e ci restituisce la purezza originaria, facendo cadere ogni sovrastruttura.

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Liberi così da tutto ciò che nella nostra vita è di troppo, saremo più agili nel cammino e disposti anche a percorrere col fratello strade non nostre, che diventano sentieri di comunione, che altrimenti l’altro da solo non avrebbe avuto il coraggio di intraprendere. Quante volte per amore di qualcuno ci siamo ritrovati a fare cose che non avremmo mai fatto, che trascendono la nostra indole: anche in questo caso il limite è stato superato dall’amore. «A chi desidera da te un prestito non voltare le spalle». Spesso qui la generosità si ferma; sembriamo disposti a tutto per il prossimo, ma mettere le mani nel portafoglio può risultare la cosa più difficile. Accampiamo mille scuse: chissà che fine fanno questi soldi, non li restituirà, ecc. Può la dedizione all’altro fermarsi a causa di Mammona? Se ne abbiamo la possibilità, la condivisione anche delle risorse economiche è molto liberante e ci aiuta ad attuare il consiglio evangelico della povertà.

Da dove nasce tutta questa disponibilità per il fratello? Dalla parola e dall’esempio di Gesù, che spinge l’uomo fino ad un punto mai raggiunto prima della sua venuta, ossia l’amore per il nemico. È in gioco la nostra figliolanza, la somiglianza col Padre, che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni», ama ciascuno non per i meriti che può vantare, ma perché peccatore e povero d’amore. Davvero questo modo di agire del Signore è il nostro sole e noi saremo luce per gli altri se li tratteremo non per come essi ci trattano, ma per come Dio tratta noi. La differenza del discepolo di Cristo è, sull’esempio del Maestro, amare chi non è amabile, amare quando non si potrebbe amare. «Non fanno così anche i pubblicani…anche i pagani?» I pubblicani erano avidi di beni e i pagani adoravano una pluralità di dèi.

Ci disperderemo nelle cose e nelle credenze fuorvianti, tanto da ritenerle indispensabili, fin quando il nostro centro non sarà unificato da un amore che sa andare in perdita per ritrovare pienamente Dio e il fratello. C’è una perfezione da raggiungere, che non è quella delle soddisfazioni o dei risultati, ma la perfezione del Padre che si riverbera sui figli. Il discepolo sa che può spendersi senza disperdersi, che può scegliere sempre il bene per non farsi snaturare dal male, perché in lui è Cristo a vivere. E se Lui rimane in noi e noi in Lui, allora saremo santi, sapremo essere eco della sua benevolenza.

Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vivono. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno A” disponibile presso:

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