Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vedono. Commenti ai Vangeli della Domenica dell’Anno B” disponibile presso:
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16a Domenica del Tempo Ordinario
Siamo persone, non numeri
Al ritorno dalla missione, gli apostoli trovano un volto a cui consegnare la gioia di aver lavorato per il regno. È lo stesso volto di cui si sono fidati nel momento della chiamata e in quello dell’invio; volto accogliente e rassicurante come quello della mamma a cui il bambino racconta ciò che gli è capitato a scuola. Tutti abbiamo bisogno di sentirci chiedere ‘come stai, com’è andata?’, e così poter condividere ciò che portiamo dentro. Paradossalmente, quanto esterniamo diventa più intimo, perché mentre lo raccontiamo lo comprendiamo meglio, mettiamo a fuoco tutti i particolari, lo facciamo più nostro e non rischiamo di dimenticarlo.
Marco, per indicare tale riunione intorno a Cristo, usa il verbo dell’adunanza ecclesiale, conferendo all’incontro tra il Maestro e i discepoli il carattere di una esemplare esperienza di Chiesa nascente, che sussiste in quanto mantiene vivo il contatto con l’Origine. Dunque una missione diventa autenticamente ecclesiale quando è restituita a Colui in nome del quale è compiuta, che a sua volta attesta il primato della persona e della sua relazione con Dio rispetto all’attesa del risultato, per quanto buona e legittima. È consolante pensare che il Signore non mi chiede delle prestazioni, non giudica il mio operato, ma guarda l’intenzione del cuore e, se il mio desiderio è sincero, tutto ciò che faccio si ammanta di purezza. Ricordo la luce negli occhi di un missionario di ritorno da un paese asiatico, che raccontava: ‘Non ho convertito nessuno, non ho costruito scuole né ospedali; sono stato lì presente, disponibile per la mia gente’. Fortunatamente per Dio siamo persone, non numeri!
L’altro verbo che Marco usa per dire che i discepoli «riferirono tutto quello che avevano fatto», è proprio quello della evangelizzazione. Forse Dio ha bisogno di essere ‘evangelizzato’? Sì, nel senso che quando i missionari recano nel mondo la lieta notizia, il cuore di Dio si rallegra, essendo realmente coinvolto e partecipe nell’impegno degli uomini a servizio del regno. Non dunque un Dio impassibile che muove le fila della Chiesa dal suo trono inaccessibile, ma teneramente vicino al cammino concreto dei suoi, capace di intuire il loro bisogno di rigenerarsi per evitare di vivere tutto senza la percezione della bellezza di ciò che fanno.
Lo sguardo di Gesù pertanto va ben oltre quello che gli apostoli raccontano. Egli sa perfettamente quanto anche la gioia può essere gravosa, cosa significa essere tutti protesi verso i bisogni dell’altro tanto da dimenticarsi dei propri, anche di quelli primari, come mangiare. Da qui la sollecitudine per i discepoli, che si avviano «verso un luogo deserto, in disparte», ma anche forse il desiderio di Gesù di associare più intimamente gli apostoli alla sua missione, di una condivisione umana più stretta, dopo che l’esecuzione capitale del Battista ha gettato un’ombra di morte anche sulla sua sorte futura.
L’agenda del missionario non è comunque dettata da un programma studiato a tavolino, bensì da uno sguardo di compassione come quello del Maestro, irresistibilmente attratto dal povero che tende la mano. «Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro», che addirittura avevano preceduto i missionari sull’altra riva, mossi da un bisogno che li aveva resi intraprendenti. L’audacia dei poveri e lo sguardo dell’appassionato si incontrano. Il vangelo narra dunque di passioni forti, di ricerche reciproche, di perdite e ritrovamenti.
Sembra di rivedere la dinamica del desiderio dell’amato e dell’amata del Cantico, in cui la momentanea distanza non fa altro che accrescere il desiderio della presenza dell’altro. È necessario talvolta che Gesù si allontani dal nostro sguardo perché capiamo se è veramente Lui l’amato del cuore e facciamo chiarezza su cosa cerchiamo nella vita. Certo, il racconto successivo della moltiplicazione dei pani aiuterà a comprendere se Gesù è cercato per il desiderio di stabilire una relazione con Lui o per il cibo che dà, ma intanto è decisivo imparare a dimorare nell’intimità divina, verificare se il cuore riposa volentieri in Cristo.
Al di là dell’intenzione che muove il cuore degli uomini, Gesù coglie la loro oggettiva realtà di «pecore che non hanno pastore» perché, come denunciarono i profeti, le guide del popolo avevano pascolato se stesse. È questa spesso la condizione dell’uomo oggi, cui Gesù risponde con la forza del suo insegnamento, a riprova del fatto che non gli stratagemmi umani, ma la sapienza che viene da Dio è l’unica via per la risoluzione dei problemi del mondo.