Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si cantano. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno C” disponibile presso:
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2a Domenica del Tempo Ordinario
Al cuore dell’amore troviamo Gesù Sposo
Il Vangelo ci conduce al cuore dell’amore celebrato dall’uomo e dalla donna e condiviso con i fratelli, nel luogo in cui due storie che aspirano a compiersi si intrecciano per sempre attraverso una consegna all’altro piena di gioiosa fiducia e di trepidanti attese. In questa sede d’amore, che sono le nozze, si pone la presenza di Gesù e soprattutto si manifesta la sua gloria, perché dovunque c’è amore, lì Dio è con te. Il Figlio è preceduto dalla madre, menzionata prima e da Lui appellata come «donna» perché immagine della nuova Eva e della figlia di Sion che attendono lo Sposo dei tempi escatologici, nei quali si concluderà la nuova alleanza tra Dio e il suo popolo. L’epiteto ‘donna’ non indica dunque una presa di distanza, ma designa tutta l’umanità credente, e la domanda di Gesù, «che vuoi da me?», richiama il valore di una scelta che ciascuno di noi è chiamato a fare dinanzi al Messia. Siamo invitati a schierarci anche quando l’ora della piena comprensione di Dio, che avverrà sulla croce, non è ancora maturata, anche quando il buio sembra prevalere sulla luce.
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Nel racconto, oltre al desiderio degli sposi e alla presenza di Maria, troviamo degli elementi che evocano un vuoto da riempire, a partire dalle anfore di pietra, in cui l’acqua sarà trasformata in vino e che sono sei, mancanti di un’unità per raggiungere il numero della pienezza. Anche il materiale di cui sono costituiti i recipienti richiama la Legge mosaica imperfetta perché scritta su tavole di pietra, che si possono rompere, mentre Geremia dirà poi che la nuova alleanza sarà incisa sulle tavole di carne del cuore umano; tale alleanza conoscerà il suo definitivo compimento in Cristo.
È su questa mancanza che si posa lo sguardo della madre, come ogni donna che con tenerezza e premura prima di ogni altro coglie i bisogni dei suoi figli; qui paradossalmente manca il vino della gioia messianica evocato dai profeti. Come darsi questa pienezza di vita? Si può solo ricevere, disponendosi al suo dono, come suggerisce Maria: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Cosa avranno pensato i servitori mentre attingevano circa 600 litri d’acqua al pozzo o al fontanile, quando una persona trasporta in genere una decina di litri?
Eppure «le riempirono fino all’orlo», mostrando una fiducia che sa farsi obbedienza generosa senza rivendicare la certezza di ciò che sarà. Obbedisci a quello che Gesù ti chiede, anche quando non ne comprendi il senso! Perché è vero, ti sta chiedendo di mettere acqua in quelle anfore vuote, mentre a te serve il vino. Obbedisci, perché ti sta chiedendo quello che tu puoi dare. L’acqua, infatti, è un elemento naturale, che tu puoi dare; metti tutto ciò che sei, il tuo impegno, e poi sarà Lui a trasformarlo in ciò che ti serve e che da solo non puoi procurarti. È la trasformazione del cuore del servo/discepolo il vero miracolo; l’adesione pronta alla volontà del Signore la festa dell’anima che effonde tutt’intorno la gioia.
Infatti i servitori portano al maestro di tavola il dono di un «vino buono», la cui origine non ha spiegazioni. La persona incaricata di fornire il vino alle nozze era lo sposo, che il lettore sa essere Gesù. È Lui dunque lo Sposo, che permetterà ai due anonimi nubendi di conoscere il volto dell’Amore. Comprendiamo perché quanto accaduto a Cana fu il capostipite di tutti i segni: tra Dio e l’umanità intercorre un rapporto nuziale che si consumerà definitivamente nell’«ora» di Gesù sul talamo della croce. Il Figlio così «manifestò la sua gloria»; a noi tocca credere e in tal modo prolungare nell’oggi della vita tale gloria. Questa prima manifestazione di Gesù suscita la fede dei discepoli e il gruppo che insieme alla madre discende a Cafarnao (v. 12) rappresenta la prima comunità di fede che crede alla Parola del Maestro.
Alle nozze di Cana la compresenza di vuoto e pienezza, antico e nuovo, silenzio e parola, dice che nella vita stare davanti a Cristo non significa aver colmato tutte le mancanze o risposto ad ogni domanda; anzi, vivere la relazione con Lui implica la consapevole assunzione del proprio limite e l’attesa fiduciosa della sua rivelazione. Se il miracolo di Gesù, segno della salvezza donata, è la trasformazione dell’acqua in vino, il nostro è «prendetene e portatene», saper attingere alla grazia che Cristo dona, non lasciarla inutilizzata e infruttuosa. Il termine ‘giorno’ apre e chiude il racconto (se lo estendiamo al v. 12): il primo indica il «terzo giorno» della risurrezione, ora diventato giorno dell’uomo, che con la presenza dello Sposo entra nella vita che non muore.
don Antonino Sgrò