don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 15 Gennaio 2023

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La Verità ha finalmente un volto

Cosa avrà provato Giovanni «vedendo Gesù venire verso di lui»? Un’intima gioia che sfocia in una solenne testimonianza sull’identità di Cristo, «agnello di Dio». E da dove il Battista avrà tratto tale immagine da applicare al cugino? Mosso dallo Spirito, Giovanni attinge alla Legge e ai Profeti, perché la Scrittura presenta l’agnello come figura di Cristo in almeno tre testi significativi. Genesi 22 narra il sacrificio di Isacco che, secondo i rabbini, si offre spontaneamente ad Abramo, e così anticipa l’offerta di Gesù al Padre. Esodo 12 descrive l’agnello pasquale, il cui sangue salvò il popolo, e tale animale era usato anche per il sacrificio quotidiano di espiazione e di comunione al tempio.

In particolare, Isaia 53, ripreso da Geremia, presenta il Servo di Yhwh come agnello muto condotto al macello che «portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli». Vedendo Gesù, Giovanni vede per rivelazione divina tutta la verità di Colui che era stato annunciato e di cui egli stesso era precursore; per il Battista è il momento del compimento, paragonabile a quello vissuto da Simeone al tempio e che appaga un’attesa carica di speranza ma non priva di difficoltà.

La vita di fede si muove infatti tra attese e compimenti, e poi ancora possibili dubbi, come accade in prigione a Giovanni, che non comprende subito il messianismo di Cristo, troppo sbilanciato sulla misericordia anziché sul giudizio per gli empi. Tuttavia il Battista precisa che si tratta di «un uomo che è avanti a me, perché era prima di me», dichiarando in tal modo la distanza che esiste tra Gesù e lui, tra Dio e noi. Questa distanza sarebbe rimasta irriducibile se Egli non ci fosse venuto incontro, come quel giorno si presentò al cugino per farsi battezzare.

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La seconda parte del racconto è incentrata proprio sull’esperienza del Giordano. Dapprima Giovanni afferma che la sua missione lungo le rive del fiume era volta a favorire la manifestazione del Messia a Israele e poi dà testimonianza della epifania divina. Anche le nostre opere acquistano valore se servono a manifestare l’agire di Dio. Ci si può chiedere cosa esprimiamo e cosa la gente vede in ciò che facciamo. L’immagine dell’immersione nelle acque ci aiuta a comprendere che soltanto ciò che è frutto della nostra immersione nella mentalità evangelica, ossia nella sensibilità di Cristo, diventa autentica epifania di Dio in noi. In altre parole, non si può parlare del Signore se non mostrando ciò che compie in noi, i frutti di conversione e di comunione che non devono essere ostentati ma offerti alla condivisione con i fratelli. La fede, se c’è, si vede, e ciò è vero nella misura in cui il testimone ha avuto occhi per vedere l’opera di Dio in sé e negli altri.

Ora, al Battesimo Giovanni vede «discendere e rimanere lo Spirito» su Gesù. Quest’ultimo verbo merita una sosta nella riflessione, così come lo Spirito quel giorno sostò su Colui che unse per non allontanarsi più da Lui. A volte si ha come l’impressione che noi chiediamo allo Spirito di andarsene da noi, di fare ‘un altro volo’, per poi eventualmente ritornare, perché dobbiamo dar corso ad intendimenti che mal si conciliano con la sua presenza in noi. È inquietante la facilità con cui anche il credente sospende l’azione dello Spirito in sé trovando mille alibi, che in genere si poggiano sul diabolico interrogativo ‘che male c’è?’, terribile anestetico della coscienza. In realtà dovremmo ricordare che trasgredire consapevolmente un solo precetto dell’amore significa trasgredirli tutti.

L’unico modo allora per rimanere nell’amore è la radicalità evangelica: se decido di vivere il vangelo senza concedermi sbavature, forse qualche caduta sarà inevitabile, ma si tratterà di incidenti di percorso facilmente superabili; una volta invece detto ‘no’ a Dio, è più probabile che il prossimo sia un no, perché un peccato solitamente è padre di altri peccati. Colui su cui si posa lo Spirito, «è lui che battezza nello Spirito Santo»; è il contatto con la persona di Gesù a garantire la presenza dello Spirito in noi, l’essere battezzati nella sua morte e risurrezione.

Ecco delineata la vita del cristiano: un mistero pasquale vivente. La testimonianza di Giovanni è adesso completa, la Verità di cui aveva preparato la strada ha finalmente un volto. Ora non solo può preparare i cuori ad accogliere la verità, ma può indicare il Messia perché lo conosce, mentre prima «non lo conoscevo». Anche noi lo abbiamo conosciuto; Colui che si è rivelato ci doni di indicare a nostra volta l’agnello «che toglie il peccato del mondo».

Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vivono. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno A” disponibile presso:

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